FEMINIZED STORIE vol.2

FEMINIZED STORIES vol.2

Ed eccolo qui! Il nuovo libro della Vale. - (clicca sulla scritta sopra per leggere l'articolo) - Ancora una raccolta di racconti sulla ...

domenica 29 marzo 2020

ACCORDO RAGGIUNTO

Femminilizzazione forzata intro: fino a che punto si è disposti ad arrivare per raggiungere l'obiettivo?

Venerdì scorso sono stato assunto dal signor Werd con un contratto a tempo determinato di un mese; la mia mansione è quella di segretario: tenere l’agenda degli appuntamenti o colloqui con le varie persone che chiamano. Per ora sono in apprendistato, fino a martedì Carol mi ha spiegato pressappoco cosa dovevo fare; Carol era la segretaria precedente, che ora è diventata assistente personale di Lumir Werd, quindi fissa gli appuntamenti che poi passa a me da mettere in agenda, mentre da due giorni posso chiedere a Sharon, che pressappoco è la dirigente del personale dell’ufficio e gestisce e programma il lavoro degli altri otto dipendenti, tre uomini e cinque donne.

Il nostro ufficio si occupa di marketing: siamo l’anello di congiunzione tra chi cerca del personale per realizzare campagne pubblicitarie e le agenzie che formano gli attori; non c’è mai contatto diretto tra le parti, è sempre la nostra azienda a mediare: domanda e offerta, niente di più semplice, e con ricerche di mercato troviamo chi è più adatto sia in termini di costi che di qualità.

Il signor Werd è una persona eccentrica, il che non sembra centrare niente con le sue origini tedesche: è molto aperto, allegro e socievole, anche perché non c’è da parte nostra la possibilità di fare grossolani errori. L’agenda giornaliera non è mai piena ed anche chi non ha appuntamento, può essere ricevuto; inoltre tutte le decisioni le prende lui, ed è molto preciso nel ratificare e mandare e-mail con l’esatto contenuto del contratto da verbalizzare e controlla persino il documento definitivo.

Mi hanno detto gli altri colleghi, che a volte ha dei comportamenti strani o che costringe i dipendenti a vestirsi in un determinato modo, a seconda di come gli gira la giornata, ma in questa settimana non ho avuto modo di sperimentare; l’unica osservazione che il signor Werd mi ha fatto è quella di radermi il pizzetto, perché nell’ufficio, solo lui può portare la barba, ma questo sinceramente non mi ha creato problemi.

Ad inizio pomeriggio stavo controllando gli appuntamenti della giornata odierna e dei giorni seguenti, quando ricevo un messaggio dal signor Werd che vuole che mi presenti nel suo ufficio; il suo ufficio è al centro della stanza, un amplio locale sei metri per sei a vetri, con specchi esterni, per cui chi è fuori non può vedere l’interno, mentre da dentro si vede tutto dell’esterno. Mi alzo e in una decina di passi busso ed entro nell’ufficio, ad aspettarmi ci sono anche Sharon e Carol.

“Bene, eccoti qua, come stavo dicendo poco fa, oggi pomeriggio alle 16 ho un appuntamento con il signor Bryan e devo discutere di un affare importante, se va in porto questo contratto ci porterà un bel po’ di lavoro e forse anche un paio di assunzioni; è un ragazzo sveglio, ma affascinato dai tacchi a spillo, quindi ho bisogno di voi tre per riuscire a pescare questo grosso pesce”.

Nat, tu che sei un ragazzo in gamba, chi preferisci tra Sharon e Carol?”

Diciamo che in pochi secondi sono diventato rosso come un peperone e per alleviare la tensione, Sharon esclama “Lumir, così lo metti in imbarazzo. La domanda più giusta è quale vestito ti piace di più tra i nostri due”.

Tutte e due portavano tacchi a spillo da 12 cm e autoreggenti nere: Carol aveva una gonna rosa chiaro ed una camicia bianca di raso, mentre Sharon un tubino azzurro, che lasciava intravedere i reggicalze.
Dopo un attimo di esitazione dico “preferisco quello di Sharon, è molto più scollato, elegante, e un un non so che di intrigante”.

“Quello che avevo pensato anch’io, grazie Nat, ora d’accordo, siamo una squadra, pronti a darmi una mano?”

Questa frase, che sembrava una domanda, era in realtà in ordine ed accettandola, noi tutti eravamo consci di accogliere le richieste di Lumir, qualunque esse fossero.

Rispondiamo all’unisono con un “si, signor Werd”.

“Bene, grazie mille, sapevo di poter contare su di voi, Carol, prendi quella scatola che c’è accanto al divano e voi due, spogliatevi”.

Io e Sharon rimaniamo un attimo sbigottiti, poi iniziamo a svestirci, rimaniamo in mutande io e con il reggiseno e mutandine lei.

“Dai su, avete per caso freddo? Toglietevi tutto, vi voglio come mamma vi ha fatti”.

Quindi eseguiamo, un po’ imbarazzati, mentre Lumir e Carol ci guardano in modo compiaciuto.

“Toglili quella peluria che ha sulle gambe” rivolto a Carol “e tu, occupati delle unghie” rivolto a Sharon.

Con un epilatore Carol comincia a radermi le gambe partendo dalle cosce,e mentre io rimango li in piedi con l’eccitazione che mi sta salendo, Sharon mi prende le mani e inizia ad applicarmi delle unghie finte di colore rosso sulla mano destra; una volta terminato di radermi, Carol mi massaggia con una pomata rinfrescante la mia pelle arrossata, mentre Sharon, finisce la mano sinistra.

“Vestilo” e Sharon prende i vestiti che si è appena tolta e si avvicina verso di me: mi infila le calze di nylon e il reggicalze; dopo avermi fissato il tutto, mi infila le sue mutandine, ancora calde e umide, mentre Carol mi applica due piccole protesi di silicone, per poi fissarle col reggiseno senza spalline color carne.

“Alza le braccia” e con un rapido gesto mi infilano il tubino sul mio corpo: essendo più alto, le mie gambe lasciano chiaramente vedere il reggicalze, l’unica nota stonata era il mio membro in erezione che gonfiava la parte anteriore del vestito.

“Eccoti queste” e inginocchiandosi davanti a me, il signor Werd prende delle scarpe con tacco a spillo nere con i laccetti “sono della tua misura” e me le infila con delicatezza, mi accarezza dapprima le gambe, per poi salire su fino al mio membro. Sharon mi allacciò i laccetti, mentre Lumir, alzandomi il vestito, mi sussurra nell’orecchio “masturbati”.

Mentre Carol inizia a truccarmi, applicandomi il fondotinta, cipria, ombretti e mascara, io inizio a masturbarmi con la mia mano destra: il solo vedere le unghie rosse, aumenta il mio desiderio e non mi fa pensare che sono a stretto contatto con due ragazze e il mio capo.

Vengo dopo meno di due minuti sulla mano: Lumir me la prende e me la avvicina alla bocca dicendomi di ripulirla tutta leccandola. Poi, mentre Sharon mi pulisce prima la bocca, poi la mano e il mio pene con delle salviettine umidificate, Carol come tocco finale mi mette il rossetto sulle labbra.

Risistemate le mutandine e applicatami una parrucca nera a caschetto, Sharon mi accompagna verso la mia scrivania e noto gli sguardi divertiti dei miei colleghi: faccio fatica a camminare con i tacchi a spillo ed a ogni passo il vestito sale su facendo intravedere le mie natiche: ad alta voce Sharon mi dice “dai Natalie, facciamo qualche giro dell’ufficio”.

Cinque minuti di imbarazzo con un sottofondo di risate sommesse, poi seduta sulla scrivania a riprendere il mio lavoro, con lo sguardo che ogni tanto andava verso l’ufficio a vetro, conscio che dall’altra parte, il capo non ha distolto gli occhi da me per un solo attimo.

“Sta arrivando” mi avvisa Carol e dopo un minuto, un ragazzo alto due metri si avvicina alla mia scrivania e mi guarda: capelli ondulati castani e occhi verdi, mi sorride ed io “signor Bryan” con una voce stranamente femminile “la stavamo aspettando, la accompagno subito dal signor Werd”.

Mi alzo e sono al suo fianco: un metro e ottantotto e con il tacco dodici, i nostri sguardi si incrociano “mi segua” e con una rapida mossa si avvicina alla mia sinistra e mi appoggia la sua mano destra sul gluteo sinistro scoperto, stringendomelo. Io sobbalzo un attimo ma proseguo, con la sua mano che sembra spingermi all’interno dell’ufficio di Lumir.
Una volta dentro, nell’attimo in cui sto per uscire, il capo mi dice “rimani qui Natalie” e indicandomi la sedia di fianco all’ospite, lo accontento sedendomi di fianco all’ospite. Mezz’ora di discussione anche con toni accesi, poi alla fine, appianate le divergenze, Bryan accetta l’accordo, ma a una condizione: alza la sua mano destra fino a sfiorarmi le labbra, mentre la sua mano sinistra accarezza il suo membro, che comincia ad andare in erezione.

Quasi senza bisogno di chiederlo, mi alzo, mi inginocchio davanti a lui, e comincio ad slacciare la cintura ed aprire i quattro bottoni dei jeans: abbasso le mutande e prendo il suo membro tra le mani. Il passo successivo è stato un turbine di emozioni: l’eccitazione aumentava ogni volta che mi entrava e usciva dalla bocca, anche se laggiù, stranamente non provavo niente; stringendo con le mani le sue natiche, mentre Bryan mi aiuta tenendomi la testa con le mani, aumento la frequenza: sento che inizia ad emettere dei rantoli di piacere ed allora aumento sempre di più fino a che la mia bocca si riempie di una sostanza calda.

Lecco avidamente tutto, infilo il suo membro esausto nelle mutande e riallaccio bottoni e cintura. Poi mi alzo e mi posiziono di fianco a Lumir, Bryan mi guarda, fa un sorriso e dice “Alla prossima, signor Werd!” E con un breve inchino, esce dalla stanza e viene accompagnato all’uscita da Carol.

Lumir mi da un bacio sulla guancia e mi dice “brava la mia bambina” e mettendomi la mano sul fianco e stringendomi a se, mi porta fuori dall’ufficio:

“Grazie a Nat, abbiamo ottenuto un accordo e per festeggiare ci sarà un bonus di 500€ in busta paga per tutti”. Si alza un ovazione nell’ufficio, mentre all’orecchio, Lumir mi sussurra “Per te Natalie, un bonus di 2000€”.

Con un cenno della mano, il signor Werd zittisce il personale festante: “e ovviamente da ora in poi, il vostro collega Nat, dovrete chiamarlo con il nome Natalìe” , nel dire questo, fa scendere la sua mano giù per i fianchi ed infila le sue dita in mezzo alle natiche. D’istinto le stringo, ma poi le rilascio facendole entrare; emetto un sospiro di piacere, mentre mi sussurra ancora nell’orecchio “io ti chiamerò semplicemente Puttanella”.

FINALE ORIGINALE

“grazie a questo accordo, ci sarà un bonus di 500€ per tutti sulla busta paga, mentre Nat, per te, un bonus di 2000€”

Ci fu un applauso generale, zittito dal signor Werd che agitò la mano in segno di far smettere gli applausi, “e ovviamente da ora in poi, il vostro collega dovrete chiamarlo sempre con il nome Natalìe o più semplicemente, PUTTANELLA”.

Storie di femminilizzazione forzata, by Vale84cd -  28 aprile 2017 

lunedì 23 marzo 2020

SECRETARY - Second Part

Femminilizzazione forzata intro: dove eravamo rimasti? Ah si, stanza buia, si sta accendendo una luce, ma forse era meglio che rimaneva spenta! O no?

CAPITOLO II

Rimango sulle punte dei piedi non so per quanto: cominciano a farmi maledettamente male i polpacci ed inizio lentamente a cedere, ma ogni volta che cedo, la stretta al collo mi fa trasalire e riprendo quella scomoda posizione.

Ormai sarà più di un’ora credo, che la luce si è spenta e sono allo stremo delle forze: la chiarore delle lampade di emergenza è l’unica cosa che vedo, ma è sempre più debole; ma quando sta per annebbiarmi la vista sento un rumore, come di una porta che si apre ed avverto qualcuno che si avvicina, un’ombra, sento qualcosa che mi sfiora le gambe, sento un “clic”, seguito da un altro poco dopo, ma non capisco cosa sia.

Poi una forza misteriosa inizia ad allontanarmi le gambe, non riesco a resistere e il peso del mio corpo viene sostenuto tutto dal mio collo.

Inizio a respirare a fatica quando una voce femminile, mi sussurra: “deciditi, o donna o ti lascio appesa fino a domani mattina”, io farfuglio qualcosa di incomprensibile e la voce rincalza: “rispondi o ti lascio cosi”, riesco a accennare con un filo di voce “donn”, “non sento, ok, hai deciso tu”, “don-na” con il poco fiato in gola riesco a scandire quelle due sillabe.

Sento azionare la manovella e il cavo appeso al soffitto si abbassa, appoggio le punte dei piedi e mentre il cavo continua a scendere, dapprima appoggio a fatica i piedi che cedono e poi rimango in ginocchio in mezzo alla sala: inizio a tossire, cercando di recuperare al più presto il fiato. E' ancora tutto buio, cerco di scorgere qualcosa ma una luce mi viene puntata negli occhi; avendo ancora le mani legate dietro alla schiena, scosto il viso chiudendo gli occhi, ma poi sento che mi vengono tolte le cavigliere e le manette.

Mi accascio per terra per qualche minuto e poi, una volta ripreso, inizio a massaggiarmi i polsi, quando si accende la luce dell’ufficio: rimango li fermo immobile per qualche minuto e poi istintivamente mi alzo e mi dirigo verso la porta.

Entro nella stanza e la trovo li davanti alla scrivania, con in mano la stessa frusta ma con un abbigliamento più insolito: invece del solito tailleur, è in un vestito di pelle attillata, anzi chiamarlo vestito è un po’ troppo generoso; una mutandina di pelle unita con una striscia ad un reggiseno sempre di pelle, che però i seni con li copre, anzi, li comprime e li fa diventare sodi, a punta con i capezzoli che sembrano voler uscire e voler farsi leccare.

Il mio pene ha un sussulto, ma è ancora legato alla corda e al collare: lei intuisce qualcosa e mi toglie il collare, liberandolo; inizia ad accarezzarlo, a massaggiarlo, si abbassa e comincia a leccarmi i testicoli. Io in preda all’eccitazione alzo gli occhi al cielo ed emetto un gemito di piacere.

Lei allora si interrompe, si rialza, mi guarda e mi dice: “togliti camicia e cravatta ed indossa questo”, indicandomi un pacco sul tavolo. Mi svesto completamente, sono nudo con lei che mi sta ad un metro di distanza e mi guarda come se gli facessi pena.

Nel pacco un paio di autoreggenti, mutandine e reggiseno, indosso tutto con una certa difficoltà: ho aiutato diverse donne a sbarazzarsene, ma mai avevo indossato quella roba. Il mio viso inizia a diventare paonazzo e il mio pene diventa sempre più duro.

“Inginocchiati e dammi le mani”. Eseguo, con lei seduta sulla poltrona a fianco della scrivania e le mie mani che si appoggiano sulle sue gambe: tira fuori dal cassetto una boccettina di smalto rosa chiaro.
“Tu continua a guardare le mie tette Sara, sai, volevo metterti lo smalto rosso, però mi dava l’impressione di una donna forte mentre tu sei, beh…”

Interrompe così la frase, il mio sguardo fisso sui suoi capezzoli si alza a cercare i suoi occhi che sorridono. Ritorno a guardare il seno, con l’imbarazzo dell'essere stato chiamato "Sara" che mi sale e l’eccitazione che inizia a scemare. 

Poi guardo giù verso le sue mani: smalto rosso fiammante che spalmano un rosa pastello sulle mie unghie, una volta terminata l'opera soffia leggermente sulle dita e mentre io sono fisso sulle mie unghie dipinte, mi mette una mano sotto il mento e me lo alza leggermente… “mmm, dai colori chiari per una femminuccia come te” ed inizia con ombretto rosa sugli occhi, matita e mascara e poi è la volta del rossetto.

Mi avvicina uno specchio e mi chiede: “Sara come ti sembra? Sei una bella ragazza o no?”… la risposta non arriva ed allora lei spazientita ripete: “Sara, di che sei una bella ragazza!”, “Sono una bella ragazza”, lo dico, con voce bassa soffocata dalla vergogna, lei incalza: “scusa ma non ho sentito, una bella cosa? Dai più forte, su dillo!”. “Una bella ragazza!” urlo ora e divento rossa in viso, imbarazzata mentre lei mi guarda e mi sorride.

“Lo so perché, lo so perché! E’ che ragioni ancora con questo!” E prendendomelo in mano inizia a masturbarmi sempre più velocemente che dopo una ventina di secondi, sono già in procinto di eiaculare: allora mi prende la mano e me la mette sotto dicendomi: “tutto lo sperma, neanche una goccia devi far cadere” mentre con l’altra mano continua ad andare su e giù, finché un fiotto caldo mi inonda la mano.

“Ecco, brava, manda giù, ti dovrai abituare”. Ero esausta dall’essere venuta così rapidamente che non mi sono accorta che mi aveva preso la mano piena di sperma e me l’aveva avvicinata alla bocca ruotandola leggermente.

Quel liquido caldo mi entra in bocca, lo assaporo e poi lecco avidamente tutta la mano: la sporco col rossetto, la guardo, lei mi dice “va che disastro che hai fatto!” e avvicinandomi a me mi chiede “vuoi leccare i miei capezzoli Sara?”, “Si” rispondo subito con un’eccitazione che mi pervade, lei sia avvicina lentamente, ed io tiro fuori la lingua per avvicinarmi al suo capezzolo turgido, lo sfioro con la punta della lingua, lei si ritrae e in un attimo mi infila in bocca una ball-gag, fissandomela dietro alla nuca.

“Ma cosa pensavi di fare sciocchina?” e mettendomi una mano sulla testa, preme per farmi mettere in ginocchio: mi prende la testa con le due mani e me la preme contro la sua vagina, facendomi assaporare il suo odore. “Alza le due mani, presto” e di nuovo, un paio di manette che vengono fissate con un moschettone all'anello posto dietro alla nuca. 

Poi si sposta e con una manata mi fa cadere sul fianco destro: “eccoti queste, così potrai camminare un po’” e da una scatola tira fuori degli scarponcini di pelle, con un tacco vertiginoso; me li infila e mi stringe i lacci di pelle per non permettere il movimento delle caviglie, poi con una mano sotto l’ascella mi aiuta ad alzarmi. I tacchi sono estremamente alti e praticamente sto in equilibrio sulle punte dei piedi.
Barcollo ad ogni passo, come una giraffa appena nata che cerca di reggersi in piedi. “So io cosa ci vuole” e tira fuori un plug anale, lo lubrifica e me lo inserisce in mezzo alle natiche: cerco di fare resistenza, ma la sua pressione è troppo forte e benché faccia fatica ad entrare, dopo qualche secondo e qualche mio urlo entra completamente.

“Sara, se mi dici basta, interrompo subito tutto, allora, che mi dici?” “Baaffffaaa” è l’unica cosa che riesco a farfugliare con la pallina in bocca, talmente grande stretta dietro la nuca che tiene la mia mandibola aperta e comincia a farmi seccare la gola.

“Ok, allora continuiamo” e prendendo una catena che penzola dal soffitto, la fissa con un moschettone all’anello che c’è dietro alla nuca e che tiene bloccate le manette. E’ tesa, quel tanto che basta per permettermi di camminare con i tacchi.

“Sara, rendiamo inerte il tuo amichetto?” “Ooooo”… Ma non basta, la frusta inizia a colpire il mio pene che dapprima tenta di andare in tiro, per poi afflosciarsi sempre di più, con le mie urla che si trasformano ad ogni frustata in singhiozzi e pianto, tant’è che lei smette e si avvicina a me guardandomi negli occhi e dicendomi.

“Ma basta che mi dici Smettila ed io interrompo subito, allora cosa dici?” “Smmmmommoo”, “Va bene, come vuoi” e mi prende con le mani i capezzoli e inizia a torcerli fino a farmi scendere le lacrime. Non contenta, li lascia, li lecca e poi li stringe di nuovo, con le mie urla soffocate dalla palla e il viso rigato di nero dalle lacrime.

“Dai, ti faccio venire infilandoti qualcosa nella tua fighetta”“ooogg oooobbb” e vedo che prende un’asta lunga, la lubrifica, si avvicina al mio pene ed inizia ad infilarcela dentro.
Entra una decina ci centimetri, fino che non arriva al suo fine corsa con una specie di anello… Poi inizia a muoverlo entrando e uscendo, mentre inizia a bruciarmi tutto. Il mio pene comincia a gonfiarsi e sale l’eccitazione, sempre di più, lei continua incessantemente, più veloce, sempre di più fino a che non eiaculo una seconda volta sulla sua mano.

Lei continua mentre le mie gambe cedono e tutto il peso del mio corpo viene sostenuto dalla mia testa, poi mi appoggia la mano sul viso e sento lo sperma che mi cola dagli occhi alle guance e sulle labbra.

Poi si allontana, spegne la luce ed esce. Io riesco a riprendere un poco le forze e rimettermi in piedi, dopo qualche secondo l’asta che è inserita nel mio pene si sfila e cade facendo un rumore metallico.

Rimango in quello stato di dormiveglia tutta la notte, con i tendini delle gambe in fiamme per lo sforzo, poi inizia ad albeggiare, si fa sempre più chiaro fino a che le luci esterne all’ufficio si accendono.

Poi si apre la porta, entra lei seguita da tutti i miei colleghi di lavoro che si mettono in cerchio intorno a me. “Date a turno una frustata su quel pisellino che ormai a Sara non serve più, uno per ogni centinaia di euro che ci ha fatto perdere… ah ecco… 3700€…”


Storie di femminilizzazione forzata, by Vale84cd -  mar 2020 

domenica 15 marzo 2020

SECRETARY - First Part

Femminilizzazione forzata intro: capita a tutti di fare degli errori, ma quando non ne fai mai, il primo potrebbe essere l'ultimo...

CAPITOLO I

“Eppure ero sicuro di aver fatto tutto giusto”, mormoro tra me e me: riguardo le carte, un’altra volta, come è potuto succedere, è una cosa che ho fatto mille e mille volte, ecco qui, ho sbagliato la percentuale, un ricarico troppo alto, spero che le scuse basteranno, ora correggo e poi invio la mail, speriamo che nessuno se ne acc…”

“MARCO!!!!”

Mi si è gelato il sangue, quella voce l’ho già sentita e ho già visto a cosa porta… per un attimo mi è sembrato di essere uno spettatore e di vedere la vittima che si alzava e con lo sguardo per terra, ciondolando, si avvicinava al suo ufficio.

Mi sono ridestato solo quando ho visto la mia mano afferrare la maniglia della porta del suo ufficio: un rapido sguardo all’indietro a cercare sostegno da parte dei miei colleghi, occhi che si sono incrociati per un decimo di secondo, per poi abbassarsi nuovamente.

“E’ permesso?”

Nessuna risposta, non è il suo stile, entro, chiudo la porta, copro la visuale oscurando le veneziane, due giri di chiave che prendo tra le mani, mi avvicino e glie le porgo.

Non le prende, mi squadra, mi fa un cenno e allora infilo l’anello sulla proboscide dell’elefantino di porcellana posto in mezzo alla scrivania.

Un sospiro, non un sospiro di qualunque, il ricordo assomiglia ad un sospiro di un drago che è pronto ad emettere il suo alito di fuoco e uno sguardo, uno sguardo che mi penetra dentro le viscere e mi fa tremare nuovamente.

Un rapido gesto e mi prende per la cravatta: con forza me la tira fino a che cado di petto sul piano della scrivania, con il mio viso che arriva ad un palmo dal suo seno. Tira ancora mentre la annoda al manico del cassetto davanti a se, impedendomi si alzarmi anche di un solo centimetro. 


“Cosa devo farti per farti capire le cose?”

Il tono di voce, stanco, di una donna che sembra stanca di ripetere sempre le stesse cose, ma in fin dei conti è la prima volta che mi trovo in questa situazione, la prima volta diamine, in più di cinque anni, che commetto un errore, e per lo più rimediabile.

Mi prende il polso sinistro e sento un clic, poi lo avvicina a quello destro e un altro clic: una coppia di manette, credo, che mi blocca e mi blocca sempre di più i movimenti.

Si alza, aggira il tavolo e si posiziona dietro di me: mi appoggia prima le mani sui fianchi, che poi si spostano sul davanti fino ad incontrare la cintura; rapidi gesti e viene allentata, aperta, poi la zip e il bottone dei pantaloni. Me li fa scorrere giù fino alle caviglie, poi mi toglie scarpe, calze e infine sfila via i pantaloni.

Altro clic sulla caviglia destra, che mi viene spostata di un metro sulla destra, altro clic sulla sinistra, che mi viene spostata dall’altra parte; faccio per muoverle ma sono fissate con qualcosa alla scrivania: una mano gelida si posa sul mio sedere, lo accarezza e poi si toglie.

So già cosa sta per accadere, chiudo gli occhi, stringo i denti e aspetto, un minuto, dieci secondi, non saprei, pare un’eternità.

“Eppure sono stata sempre buona con te”

SCIAFF, un colpo secco, un bruciore alle due natiche che mi fa emettere un grido di sofferenza.

“Pensavo di essere stata chiara”

SCIAFF, una seconda sculacciata, ancora più forte, che mi fa scendere una lacrima oltre che un urlo.

“Un minimo di attenzione”

SCIAFF, una terza, non so se più forte o meno, urlo ancora di dolore e inizio a singhiozzare.

“Mi hai deluso caro”

SCIAFF, il bruciore mi pervade e non riesco a controllare l’urlo di dolore

“Profondamente deluso”

SCIAFF, la sculacciata arriva più in basso, altezza cosce, più dolorosa delle altre, che mi fa cedere le ginocchia.

“Non starai mica singhiozzando vero?” mentre aggira nuovamente la scrivania e si inginocchia davanti a me.

“Sono lacrimucce queste?” posandomi il suo dito indice vicino allo zigomo e asciugandomi l’occhio destro.

“Sei proprio una femminuccia mia cara” dicendolo mentre con pollice e indice sulle mie guance, premeva facendomi stringere le labbra. Le lascia, ritorna dietro, non so cosa le frulla per la testa. Solitamente agli altri non più di cinque minuti, forse ha finito anche con me, forse per questa volta è tutto risolto, dai speriamo. Sento ancora la sua mano accarezzarmi i glutei, poi passare le dita nella fessura, sento un fremito di piacere, si insinua fino a toccarmelo, lo accarezza e lui inizia a diventare duro, lo avvolge con la sua mano e lo stringe quel poco che permette di farlo gonfiare ancora di più.

Poi di colpo una stretta forte, lancio un urlo e lei con tutta calma mi sussurra:”ma se sei una femminuccia non ti può far male questo”, stringe ancora più forte, mi aumenta il battito del cuore e comincio a respirare affannosamente per poi tossire. Stringe ancora di più quando inizia a sgonfiarsi, lo tira, lo avvolge con quattro giri di corda, nodo e poi la corda restante la fa passare in mezzo ai glutei, la annoda alle manette per poi fissarla ad un collare nero borchiato che mi fissa a mo di cintura intorno al collo.

Mi libera le manette dalle caviglie, mi snoda la cravatta dal manico del cassetto e mi fa rialzare: tira ancora la corda, piegando il mio pene all’indietro, facendolo entrare quasi nelle natiche e fissa la corda alle manette, che si trovano, piegate all’indietro, all’altezza delle scapole.

“Torna al tuo posto, non ti voglio più vedere per oggi”: e aprendo con la chiave la porta, mi fa uscire fuori dal suo ufficio, lasciandomi alla pubblica umiliazione.

Con passi brevi mi dirigo verso la mia scrivania, sposto la sedia con il piede e mi siedo sopra di essa, sento il mio pene schiacciarsi sotto il mio peso e rimango li seduto, non sapendo cosa fare, non sapendo se chiedere aiuto ai miei colleghi, che non mi degnano di uno sguardo.

Non so quanto rimango li, imbambolato, con lo sguardo fisso nel vuoto, senza sapere cosa fare, con la paura di chiedere aiuto, sta di fatto che a poco a poco i miei colleghi se ne vanno, senza rivolgermi il minimo cenno. Poi la porta dell’ufficio si apre, lei esce, si avvicina a me, il ticchettio dei suoi tacchi mi fa sussultare, le sue gambe velate di collant nero mi sfiorano il braccio destro, passa dietro di me, sento che fa passare una corda nell’anello posto sul collare, vicino alla nuca, prende i due capi, me li mostra, li inserisce in un moschettone che aggancia ad un altro moschettone che sgancia dal muro alla mia destra. Poi inizia a girare la manovella: la corda inizia a tendersi, costringendomi ad alzarmi e a spostarmi sotto di essa. La tira ancora, ormai sono in piedi, ancora qualche centimetro,e devo mettermi sulle punte dei piedi per evitare che mi stringa la cintura sul collo.

Ci scambiamo uno sguardo, io terrorizzato, lei divertito, per qualche decina si secondi e poi, come se nulla fosse, si gira andando verso la porta di uscita, spegne la luce e chiude la porta dietro di se…
--->  TO BE CONTINUED
Storie di femminilizzazione forzata, by Vale84cd -  mar 2020

domenica 8 marzo 2020

SEXOFFICE

Femminilizzazione forzata intro: nel lontano 2008 il primo racconto... lo pubblico così, nella versione integrale, con il bozzetto che avevo preparato prima di scrivere la storia...

Giorgio bevve un sorso di caffé che Simona le aveva portato e continuò a scrivere la relazione, sfregandosi ancora una volta gli occhi; aveva passato ancora una notte in bianco per quest’indagine che sembrava proprio non finire mai. Era seduto su quella poltroncina dalle 8 di mattina ed erano quasi le 11, lo sguardo era sempre più appannato e gli sbadigli la stavano facendo da padrone. Bevve un altro sorso di caffè e si strofinò di nuovo gli occhi: ora lo schermo gli apparve offuscato, alzò d’istinto il braccio per pulirlo, ma non riusciva a toccarlo, non riusciva ad avvicinarsi e gli venne un leggero capogiro, mentre i suoi colleghi tiravano la sedia e lo allontanavano sempre di più dal suo monitor; alzò ancora una volta il braccio destro e con l’indice cerco di toccare quel punto luminoso, quando il suo capo cadde all’indietro e il corpo si accosciò su un fianco.
“Non avremo esagerato un po’ troppo?” disse Andrea mettendogli le mani sotto le ascelle e alzandolo di peso, “su datemi una mano che pesa”. Altri due colleghi arrivarono e lo sollevarono dai piedi e dai fianchi, adagiandolo su una lunga scrivania coperta da un telo verde di plastica.

“Dorme come un angioletto” disse Simona “ da dove iniziamo?” rivolgendosi a Susanna che guardava il viso di Giorgio passandosi il dito mignolo sulle labbra.

“Spogliamolo!” disse Sergio, e iniziarono a sfilargli le scarpe, le calze e allentando la cintura i pantaloni e le mutande, “non un granché!” disse Andrea guardando Sergio, mentre Susanna, con una leggera spallata a quest’ultimo gli disse “dai, passiamo oltre…” provocando una sottile risatina di Simona; quindi slacciarono i bottoni dei polsini della camicia e alzando la schiena di Giorgio tolsero la giacca, quindi sbottonando la camicia tolsero la stessa e la canottiera.

Una volta finito, Simona prese una spugna imbevuta d’acqua e di detergente e pulì bene il corpo, arrossendo, quando si trovava al livello del pene; quindi si divisero i compiti, gli uomini si occuparono della parte inferiore e le donne della parte superiore.

“La prima cosa da fare è togliere tutta questa peluria” disse Sergio, e prendendo un rasoio elettrico, cominciò e radere i peli delle ascelle e del pube, finito passo con un depilatore femminile le stesse parti e cominciò ad eliminare i peli sul torace, sulle braccia e sulle gambe; Andrea intanto con un rasoio rasò la barba a Giorgio, facendo pelo e contropelo per rendere il viso più liscio possibile. Poi passo alle ascelle e al pube per il tocco finale. A questo punto Sergio arrivò con una siringa e inserendola dello scroto disse “questa dovrebbe tenerti calmo per almeno qualche giorno…”, “è senza rischi?” domandò Andrea, “Si, con le pastiglie che gli abbiamo fatto bere questa settimana e questa puntura è come una momentanea castrazione chimica, senza effetti collaterali, tranne che per l’amico qui, che non potrà alzare la testa.”, “Avete finito di parlare?” Chiese Simona, “che qui è un’operazione delicata!”; Susanna e Simona avevano appena finito di sistemare le unghie a Giorgio, con un piccolo prolungamento e un tocco di colore rosso fiammante e stavano per portare la protesi al silicone, fatta su ordinazione. Una volta messo il collante, adagiarono le due protesi al centro dei capezzoli e fissarono bene i bordi, usando poi una crema impregnante dello stesso colore della pelle, per evitare di far vedere la differenza di colore e di materiale; una volta terminato questo procedimento, spalmarono sulla faccia una crema idratante e applicarono due strati di fondotinta per eliminare le imperfezioni della pelle, disegnarono il contorno labbra e applicarono un rossetto rosso vivo e poi per gli occhi, un mascara allunga ciglia e un leggero contorno occhi, con un ombretto di color azzurro pastello e come tocco finale aggiunsero sulle gote un po’ di fard rosso, quindi passarono ai capelli. Applicarono ai capelli corti di Giorgio un collante specifico e applicarono la parrucca di capelli veri color nocciola chiaro, con una riga centrale, frangetta e lunghi fino alle spalle, quindi finirono il viso applicando degli orecchini a clip con campanelle di finta perla e una collana leggera ad ovali dorati con un pendente in perla.

Intanto Sergio e Andrea terminarono la parte più delicata della trasformazione, con uno speciale tupè che combaciava con il pube, appiattirono il pene e lo scroto ormai inerti e applicarono il tappetino, premendo in modo che non risultasse nessuna protuberanza; finito il lavoro Susanna, salita su una sedia, scattò qualche foto. “Magnifique!” esclamò, “Ora passiamo alla vestizione”.

Per le gambe usarono delle calze a rete di cotone nero senza autoreggente e per le scarpe, un paio di sandaletti rossi con tacco da 10 centimetri di misura 43, una in meno di Giorgio, ma l’unica che avevano trovato e che fortunatamente, riuscirono ad infilare con qualche piccola forzatura.

Per la parte intima usarono un tanga nero con apertura nel mezzo e un body sempre nero con dei lacci per attaccare le calze e la chiusura posteriore con dei lacci tipo corsetto. Sul davanti, stringendo forte i lacci, i due seni, schiacciati in avanti si avvicinarono e uscirono per un terzo dal davanti, dando quella forma erotica di costrizione; infine il tocco finale: una minigonna tipo foulard con due bottoni sulla parte destra, che arrivava proprio a filo delle calze, lasciando intravedere i reggenti.

L’opera era compiuta ed era anche pronto il risveglio, perché nell’infilare le scarpe e nello stringere il body-corsetto Giorgio aveva pronunciato delle parole confuse cose “dove sono” e “che cos’è”.

Lo adagiarono sulla sua sedia davanti alla scrivania, che modificarono appoggiando cose da ragazze, quali trousse, specchietti e pupazzetti, le accavallarono le gambe e le misero una mano in mezzo alle gambe e l’altra sul mouse; aprirono sul computer una pagina di pettegolezzi e misero intorno allo schermo una ghirlanda di fiori rosa, quindi con una boccetta di sali lo fecero rinvenire.

Aperti gli occhi e con la mente un po’ confusa mise a fuoco lo schermo del computer e pian piano cominciò a distinguere le parole e iniziò a leggere un documento; dopo qualche minuto, quando la mente si faceva un po’ più lucida disse sottovoce: “Ma cosa diavolo sto leggendo” rendendosi conto che stava leggendo una notizia di gossip tra un industriale ed una valletta dello spettacolo. Mosse la mano per chiudere la pagina, quando fu attratto dalla stessa: fissandola sentì una vampata di calore vedendo che le sue unghie erano lunghe e rosse, guardò l’altra mano estraendola dal mezzo delle gambe e si accorse che portava delle calze a rete con dei tacchi a spillo; un’altra ondata di caldo le invase il corpo, mentre una mano gelida si appoggiò sulla schiena, e un alito di vento le sussurrò all’orecchio “Il capo ti vuole vedere immediatamente!”.

Dopo qualche secondo in cui rimase impietrito Giorgio si alzò si scatto e al primo passo barcollò spostandosi verso destra e appoggiandosi alla scrivania di Susanna, la quale disse “Tutto a posto Michela?”. Giorgio la guardò con gli occhi sorpresi e aprì la bocca per dirle qualcosa, anche se non le uscirono le parole di bocca, ancora non si rendeva conto di cosa le stesse accadendo, quando Sergio, con la mano destra, gli afferrò il gluteo sinistro e dicendogli “Dai che il capo si arrabbia” la spinse dolcemente verso la porta; dopo alcuni passi incerti Giorgio avanzò e trovatosi davanti alla porta bussò: “Entra pure e accomodati che ho quasi finito!”.

Michela entrò e si sedette sulla poltrona di pelle sprofondando leggermente e lasciando che la minigonna rivelasse gli autoreggenti, mentre il suo capo, di schiena dall’altra parte della scrivania, si alzò andando verso la porta, la chiuse a chiave, oscurando le veneziane, in modo che nessuno potesse vedere all’interno. Poi avvicinandosi verso di lui, lo guardò e mettendogli una mano sulla spalla e l’altra sotto la coscia destra le disse “Michela, quanto tempo…”, quindi la aiutò ad alzare e mentre Michela diventava sempre più rossa e incredula e cominciava a balbettare dei suoni incomprensibili le mise l’indice sulle labbra e dicendo “Ssss!” le infilò la lingua in bocca e cominciò a baciarla con passione, mentre le sue mani si muovevano su e giù per il corpo. Michela dapprima pietrificata, non seppe resistere e si abbandonò ai sensi, cominciando a cercare la lingua di quell’uomo così focoso e cominciando con le mani a stringere il dorso e i glutei; proprio quando la frenesia era estrema e si era abbandonato ai freni inibitori, lui lo costrinse ad inginocchiarsi e slacciandosi i pantaloni le infilò il lungo pene in bocca quasi a soffocarlo.

Quasi non capendo più niente in quel vortice d’emozioni inimmaginabili e con la bocca spalancata per quell’enorme corpo estraneo il capo le prese la teste tra le mani e cominciò a muoverla in avanti e indietro; un’altra vampata di calore assalì Michela e quasi inconscio di ciò che stava facendo cominciò a muoversi ritmicamente, agitando anche la lingua alla ricerca di quel membro così morbido e grosso allo stesso tempo, poi quando il suo padrone ansimando, disse la parola “vengo”, quasi istintivamente Michela allontanò la bocca e guardando il pene da una distanza da dieci centimetri, fu assalita dagli schizzi di sperma, che gli andarono su di una guancia e sotto l’occhio sinistro, poi istintivamente rimise il pene in bocca e cominciò a leccarlo da quella sostanza così viscida e calda e mentre con una mano impugnava nuovamente il pene muovendo su e giù e con l’altra aggrediva con le unghie il gluteo destro, sentiva scorrere giù nell’esofago quella calda sostanza e quasi sfinito dallo sforzo, una volta ripulito il tutto, si stacco dal pene e passandosi la mano destra sul viso si portò le ultime tracce di sperma sulle labbra, si adagiò ai piedi della poltrona con le gambe aperte e le braccia all’indietro accarezzando la poltrona.

Proprio in quel momento quando era ancora sopraffatto dall’estasi e dall’euforia si vide riflesso nello specchio davanti a se e si portò le mani sul seno che si era interamente scoperto e abbassò lo sguardo per vedere se tutto ciò era reale e poi con un’altra rapida occhiata vide tra l’apertura del tanga che mancava qualcosa: si mise le mani sul pube e un brivido freddo gli corse lungo la schiena; non sentiva niente e non provava niente. Un’altra vampata di calore lo assalì talmente forte che barcollò come se si trovasse in cima ad una scala e non sul pavimento: “Sono realmente una donna” sussurro portandosi le mani sul volto e, una volta girate, guardandosi le unghie e ancora una volta il riflesso sullo specchio.

Un turbinio d’emozioni le girarono per la testa, quando il padrone la sollevò di peso e le disse all’orecchio: “Sei stata magnifica, su torna a lavorare” e aggiustandogli il body e abbassandogli la gonna, le mise la mano destra sui glutei e aprendo la porta la spinse dolcemente in mezzo alla sala, tra l’indifferenza dei suoi colleghi.

Michela quindi si sedette sulla sua sedia, ancora confusa di ciò che le era capitato in quegli ultimi dieci minuti e rimase lì per altri dieci minuti, attonita, fissando la porta dell’ufficio del suo padrone e chiedendosi se stava sognando, cercando di prolungare ancora per un po’ quell’insano piacere che aveva provato in quegli attimi.








Storie di femminilizzazione forzata, by Vale84cd -  3 gen 2008

domenica 1 marzo 2020

INFETTE

Femminilizzazione forzata intro: sto virus sta dappertutto, anche qui...

Stavo per finire la relazione sulle problematiche legate allo stress lavorativo dell’azienda, quando sento la voce di Carla che mi chiama: “Giorgio, uhu, qua sta succedendo qualcosa”; alzo la testa, la guardo e la vedo preoccupatissima in viso, che guarda giù dalla finestra.

Mi alzo e vado verso di lei, guardo anch’io verso il parcheggio e vedo diverse auto arrivare, tra cui una pattuglia della polizia e delle auto mediche. “Ma cosa sta succedendo”, mi chiedo a voce alta, quando la porta si spalanca e entrano Monica e Grazia, più che entrano, vengono spinte da due personaggi in tuta bianca e maschera, i quali, rivolgendoci la parola ci dicono: “tutto l’edificio è bloccato, causa virus infettivo; vi abbiamo suddivisi in gruppi di quattro persone, dovrete rimanere qui dentro una decina di giorni, a breve vi porteremo delle brande e del cibo”.

“Come virus?” piagnucola Carla.

“Tranquilli, è per la vostra sicurezza: i contaminati sono al piano di sotto, voi non dovreste essere in pericolo, però è meglio che rimaniate isolati qui”.

Si dirigono verso le finestre e bloccano i dispositivi di apertura, così come per il bagno vicino, poi si dirigono verso la porta, escono e la chiudono a chiave.

Rimaniamo tutti di sasso, Monica inizia a piangere mentre Grazia la consola, Carla mi guarda con gli occhi lucidi ed allora, prendendo coraggio cerco di consolarle: “tranquille ragazze, nulla di grave dai… almeno riusciremo a finire tutto il lavoro arretrato senza distrazioni”.

Strizzo l’occhio destro e Monica, asciugandosi le lacrime esclama “che pirla che sei!” Pochi attimi e una risata, che contagia tutti. “Sarà una lunga settimana questa” dice Grazia, strizzandomi a sua volta l’occhio sinistro e con ritrovato entusiasmo, ci sediamo alle rispettive scrivanie e finiamo ognuno i compiti della giornata.

Meno di un’ora e i personaggi vestiti di bianco tornano e ci consegnano quattro brande, coperte, due vassoi con del cibo e una cassa di acqua; in meno di mezz’ora ci sediamo ai tavoli e ceniamo, alle ore venti abbiamo già finito, sistemiamo tutti gli avanzi nei due contenitori sigillati davanti alla porta d’ingresso e ci sediamo a parlare.

Sono un po’ spaventate, riesco a capirlo dai loro discorsi, anche se non lo danno a vedere e quando parlo pendono letteralmente dalle mie labbra cercando conforto nelle parole che dico; io mi sforzo più che posso nel rassicurarle, anche se questa situazione un po’ mi preoccupa, anche perché ci hanno dato poche informazioni e ci hanno rinchiuso in questa stanza, bagno compreso, di poco più di cinquanta metri quadri.

Parliamo fino alle ventitre e poi si decide di andare a letto: spostiamo le scrivanie e sistemiamo le quattro brande, le ragazze sulla parete vicino al bagno ed io dalla parte opposta. “Ecco, siamo senza pigiama” esclama Carla, “ci tocca dormire con l’intimo… è un problema?”

Mi guarda con gli occhi spalancati, distolgo lo sguardo da lei e mi accorgo che anche Monica e Grazia hanno la stessa espressione in viso… In due secondi, divento paonazzo in viso e farfuglio “no, no, nessun problema”. Abbasso lo sguardo e inizio anch’io a togliermi i pantaloni, giacca e camicia, e non posso fare a meno, ogni tanto, di sbirciare le tre ragazze, che sono a meno di cinque metri dal mio letto.

Carla, ha un completino bianco, reggiseno e mutandine di pizzo, con i capelli biondi che gli ricadono sulle spalle, si accinge a togliersi le autoreggenti anch’esse bianche; Grazia un completino nero, i capelli castano tagliati a caschetto, il reggiseno imbottito e un triangolino che fa trasparire una depilazione completa; Monica invece un completo blu, il reggiseno che pare di due taglie più stretto, i capelli ricci rossi che lambiscono le spalle e un tanga striminzito che non copre proprio niente. La fisso mentre si sta togliendo i collant color carne, lei alza lo sguardo, poi lo gira verso di me, mi sorride e continua nella sua opera, sfilando prima una gamba e poi l’altra.
“Dai, vieni qui un po’ con noi” mi dice Grazia con la sua voce sbarazzina. “Su dai, che non ti mangiamo” insiste Carla, mentre Monica mi guarda divertita.
Divento rosso in viso e mi alzo andando verso di loro, che sono ora sedute sul letto a gambe conserte: quando sono vicino, mi accorgo che il mio membro è eretto, Grazia che è proprio davanti a me, con un rapido gesto, mi abbassa le mutande e si mette a ridere.
Tutte e tre si mettono a ridere, io rimango li a bocca aperta non capendo il perché della loro reazione, poi Carla, guardandomi, esclama “non ho mai visto un pene così piccolo, non dirmi che è già in tiro!”, Grazia incalza “per me appena lo tocco si piega!” e Monica infierisce “sembra quello di un bambino di cinque anni”.
In un attimo, divento ancora più rosso; le tre se ne accorgono e continuano nelle umiliazioni: “ma con quel coso riesci a venire o è solo di bellezza?” “Per me non è mai venuto per paura di romperlo” “Guarda guarda, si sta ammosciando, tra poco potrebbe sparire”. Le risate aumentano di intensità, mentre il mio membro si affloscia definitivamente e mi assale un senso di frustrazione che per poco non scoppio in lacrime.
“Oh, piccolo, non te la prendere”, mi sussurra Grazia dandomi un bacio sulla guancia, “mi sa che abbiamo trovato la soluzione al tuo problema”: Monica mi sfila la canottiera e le mutande, poi mi spinge e mi fa sedere sul letto, inizia ad infilarmi un autoreggente bianco sulla gamba destra, mentre Carla si toglie il reggiseno e le mutandine.
Gamba sinistra e poi le mutandine di pizzo bianche, mentre Carla mi allaccia il suo reggiseno. “Noi pensavamo che fossi un bel maschione, ma in realtà sei una femminuccia, ti si è pure afflosciato davanti a tre donne sexy!”.
Non ho replicato, in effetti era vero, mi si è afflosciato e continua ad esserlo anche con su la biancheria intima; sono confuso, triste, sull’orlo di piangere, mentre Grazia si avvicina con un rossetto rosso e inizia a truccarmi.
Sono confuso, Monica mi sussurra all’orecchio “Lasciati andare Giorgia, fai uscire la femmina che è in te”, mentre Grazia ora è passata all’ombretto sulle palpebre.
Sentire il mio nome al femminile mi ha provocato una strana sensazione, mi ha fatto l’effetto di perdere in un solo colpo le certezze di uomo e l’eccitazione di trovarmi intorno tre donne vogliose.
“Ecco fatto, guardati, come ti sembra Giorgia, sei proprio carina”. Mi strizza l’occhio, la fisso e il mio sguardo si posa sullo specchio che ho davanti al naso. Mi guardo e per un attimo non capisco, vedo il volto di una ragazza, rossetto rosso, mascara, ombretto azzurro, poi piano piano mi accorgo che sono io, il mio volto si distende e mi lascio andare in un sorriso.
“Sdraiati qui tra noi” dice Monica, che si è tolta il reggiseno e che mi sta mettendo la mano sul suo seno “Toccalo, desideri averlo anche tu vero?”, mentre Carla mi pizzica i capezzoli e Grazia inizia a massaggiarmi vicino all’inguine. Il mio pene inizia ad avere un’erezione, quando Grazia me lo prende con la mano ed inizia a stringerlo forte: io emetto un grido che viene soffocato da Carla che mi mette la sua lingua nella bocca dandomi un bacio appassionato…
“Dovrai venire solo quando lo vogliamo noi, d’accordo?” Io annuisco, ancora con la lingua di Carla in bocca, “D’ACCORDO?” “si, si” proprio mentre Carla si allontana dalle mie labbra, “D’ACCORDOOOO?” con un’ultima stretta di Grazia che mi fa emettere un si, che è un incrocio tra gioia e dolore. Me lo lascia, e lui si affloscia di colpo, inerme. Le mie gambe si allargano e inizio a respirare affannosamente per riprendere fiato.
Monica si avvicina al mio viso, mi guarda divertita e mi dice “non sei contenta di essere la nostra schiavetta per una decina di giorni?” Io la guardo spalancando gli occhi, mentre Grazia mi mette una cosa fredda sul mio pene: alzo lo sguardo proprio quando sento un clic, una gabbietta di metallo ora lo avvolge, bloccata da un lucchetto.
“La chiave la tengo io, e ora questo” indicandomi un plug anale di metallo che sparisce dalla mia vista: sento freddo, tento di resistere, ma lo sento entrare fino in fondo; emetto un gemito di piacere.
“Ci supplicherai tra un po’ Giorgia” mi dice ancora Monica divertita: mentre, girandomi di pancia, mi mettono delle manette alle mani e ai piedi e sulla bocca un gag-ball che mi viene stretta sulla nuca.
Ed ora giù, con un calcio mi fanno rotolare giù dal letto, cado di schiena e rimango così, con le gambe semiaperte a fissare il soffitto, una lacrima mi scende sulla guancia.

Storie di femminilizzazione forzata, by Vale84cd - marzo 2020