CAPITOLO II
Rimango sulle punte dei piedi non
so per quanto: cominciano a farmi maledettamente male i polpacci ed inizio lentamente
a cedere, ma ogni volta che cedo, la stretta al collo mi fa trasalire e
riprendo quella scomoda posizione.
Ormai sarà più di un’ora credo, che
la luce si è spenta e sono allo stremo delle forze: la chiarore delle
lampade di emergenza è l’unica cosa che vedo, ma è sempre più debole; ma quando sta per annebbiarmi la
vista sento un rumore, come di una porta che si apre ed avverto qualcuno che
si avvicina, un’ombra, sento qualcosa che mi sfiora le gambe, sento un “clic”,
seguito da un altro poco dopo, ma non capisco cosa sia.
Poi una forza
misteriosa inizia ad allontanarmi le gambe, non riesco a resistere e il peso
del mio corpo viene sostenuto tutto dal mio collo.
Inizio a respirare a fatica
quando una voce femminile, mi sussurra: “deciditi, o donna o ti lascio appesa
fino a domani mattina”, io farfuglio qualcosa di incomprensibile e la voce
rincalza: “rispondi o ti lascio cosi”, riesco a accennare con un filo di voce
“donn”, “non sento, ok, hai deciso tu”, “don-na” con il poco fiato in gola
riesco a scandire quelle due sillabe.
Sento azionare la manovella e il
cavo appeso al soffitto si abbassa, appoggio le punte dei piedi e mentre il cavo continua
a scendere, dapprima appoggio a fatica i piedi che cedono e poi rimango in
ginocchio in mezzo alla sala: inizio a tossire, cercando di recuperare al più
presto il fiato. E' ancora tutto buio, cerco di scorgere qualcosa ma una luce mi
viene puntata negli occhi; avendo ancora le mani legate dietro alla schiena,
scosto il viso chiudendo gli occhi, ma poi sento che mi vengono tolte le
cavigliere e le manette.
Mi accascio per terra per qualche
minuto e poi, una volta ripreso, inizio a massaggiarmi i polsi, quando si
accende la luce dell’ufficio: rimango li fermo immobile per qualche minuto e
poi istintivamente mi alzo e mi dirigo verso la porta.
Entro nella stanza e la trovo li
davanti alla scrivania, con in mano la stessa frusta ma con un abbigliamento
più insolito: invece del solito tailleur, è in un vestito di pelle attillata,
anzi chiamarlo vestito è un po’ troppo generoso; una mutandina di pelle unita
con una striscia ad un reggiseno sempre di pelle, che però i seni con li copre,
anzi, li comprime e li fa diventare sodi, a punta con i capezzoli che sembrano voler
uscire e voler farsi leccare.
Il mio pene ha un sussulto, ma è
ancora legato alla corda e al collare: lei intuisce qualcosa e mi toglie il
collare, liberandolo; inizia ad accarezzarlo, a massaggiarlo, si abbassa e
comincia a leccarmi i testicoli. Io in preda all’eccitazione alzo gli occhi al
cielo ed emetto un gemito di piacere.
Lei allora si interrompe, si
rialza, mi guarda e mi dice: “togliti camicia e cravatta ed indossa questo”,
indicandomi un pacco sul tavolo. Mi svesto completamente, sono nudo con lei che
mi sta ad un metro di distanza e mi guarda come se gli facessi pena.
Nel pacco un paio di
autoreggenti, mutandine e reggiseno, indosso tutto con una certa difficoltà: ho
aiutato diverse donne a sbarazzarsene, ma mai avevo indossato quella roba. Il
mio viso inizia a diventare paonazzo e il mio pene diventa sempre più duro.
“Inginocchiati e dammi le mani”.
Eseguo, con lei seduta sulla poltrona a fianco della scrivania e le mie mani
che si appoggiano sulle sue gambe: tira fuori dal cassetto una boccettina di
smalto rosa chiaro.
“Tu continua a guardare le mie
tette Sara, sai, volevo metterti lo smalto rosso, però mi dava l’impressione di
una donna forte mentre tu sei, beh…”
Interrompe così la frase, il mio
sguardo fisso sui suoi capezzoli si alza a cercare i suoi occhi che sorridono.
Ritorno a guardare il seno, con l’imbarazzo dell'essere stato chiamato "Sara" che mi sale e l’eccitazione che
inizia a scemare.
Poi guardo giù verso le sue mani: smalto rosso fiammante che spalmano un rosa pastello sulle mie unghie, una volta terminata l'opera soffia leggermente sulle dita e mentre io sono fisso sulle mie unghie dipinte, mi mette una mano sotto il mento e me lo
alza leggermente… “mmm, dai colori chiari per una femminuccia come te” ed
inizia con ombretto rosa sugli occhi, matita e mascara e poi è la volta del
rossetto.
Mi avvicina uno specchio e mi
chiede: “Sara come ti sembra? Sei una bella ragazza o no?”… la risposta non
arriva ed allora lei spazientita ripete: “Sara, di che sei una bella ragazza!”,
“Sono una bella ragazza”, lo dico, con voce bassa soffocata dalla vergogna, lei
incalza: “scusa ma non ho sentito, una bella cosa? Dai più forte, su dillo!”.
“Una bella ragazza!” urlo ora e divento rossa in viso, imbarazzata mentre lei
mi guarda e mi sorride.
“Lo so perché, lo so perché! E’
che ragioni ancora con questo!” E prendendomelo in mano inizia a masturbarmi
sempre più velocemente che dopo una ventina di secondi, sono già in procinto di
eiaculare: allora mi prende la mano e me la mette sotto dicendomi: “tutto lo
sperma, neanche una goccia devi far cadere” mentre con l’altra mano continua ad
andare su e giù, finché un fiotto caldo mi inonda la mano.
“Ecco, brava, manda giù, ti
dovrai abituare”. Ero esausta dall’essere venuta così rapidamente che non mi
sono accorta che mi aveva preso la mano piena di sperma e me l’aveva avvicinata
alla bocca ruotandola leggermente.
Quel liquido caldo mi entra in bocca, lo
assaporo e poi lecco avidamente tutta la mano: la sporco col rossetto, la
guardo, lei mi dice “va che disastro che hai fatto!” e avvicinandomi a me mi
chiede “vuoi leccare i miei capezzoli Sara?”, “Si” rispondo subito con un’eccitazione
che mi pervade, lei sia avvicina lentamente, ed io tiro fuori la lingua per
avvicinarmi al suo capezzolo turgido, lo sfioro con la punta della lingua, lei
si ritrae e in un attimo mi infila in bocca una ball-gag, fissandomela dietro
alla nuca.
“Ma cosa pensavi di fare
sciocchina?” e mettendomi una mano sulla testa, preme per farmi mettere in
ginocchio: mi prende la testa con le due mani e me la preme contro la sua vagina, facendomi assaporare il suo odore. “Alza le due mani, presto” e di
nuovo, un paio di manette che vengono fissate con un moschettone all'anello posto dietro alla nuca.
Poi si sposta e con una manata mi fa cadere sul fianco destro: “eccoti queste,
così potrai camminare un po’” e da una scatola tira fuori degli scarponcini di
pelle, con un tacco vertiginoso; me li infila e mi stringe i lacci di pelle per
non permettere il movimento delle caviglie, poi con una mano sotto l’ascella mi
aiuta ad alzarmi. I tacchi sono estremamente alti e praticamente sto in
equilibrio sulle punte dei piedi.
Barcollo ad ogni passo, come una
giraffa appena nata che cerca di reggersi in piedi. “So io cosa ci vuole” e
tira fuori un plug anale, lo lubrifica e me lo inserisce in mezzo alle natiche:
cerco di fare resistenza, ma la sua pressione è troppo forte e benché faccia
fatica ad entrare, dopo qualche secondo e qualche mio urlo entra completamente.
“Sara, se mi dici basta,
interrompo subito tutto, allora, che mi dici?” “Baaffffaaa” è l’unica cosa che
riesco a farfugliare con la pallina in bocca, talmente grande stretta dietro la
nuca che tiene la mia mandibola aperta e comincia a farmi seccare la gola.
“Ok, allora continuiamo” e
prendendo una catena che penzola dal soffitto, la fissa con un moschettone
all’anello che c’è dietro alla nuca e che tiene bloccate le manette. E’ tesa, quel
tanto che basta per permettermi di camminare con i tacchi.
“Sara, rendiamo inerte il tuo
amichetto?” “Ooooo”… Ma non basta, la frusta inizia a colpire il mio pene che
dapprima tenta di andare in tiro, per poi afflosciarsi sempre di più, con le
mie urla che si trasformano ad ogni frustata in singhiozzi e pianto, tant’è che
lei smette e si avvicina a me guardandomi negli occhi e dicendomi.
“Ma basta che mi dici Smettila ed
io interrompo subito, allora cosa dici?” “Smmmmommoo”, “Va bene, come vuoi” e
mi prende con le mani i capezzoli e inizia a torcerli fino a farmi scendere le
lacrime. Non contenta, li lascia, li lecca e poi li stringe di nuovo, con le
mie urla soffocate dalla palla e il viso rigato di nero dalle lacrime.
“Dai, ti faccio venire
infilandoti qualcosa nella tua fighetta”… “ooogg oooobbb” e vedo che prende
un’asta lunga, la lubrifica, si avvicina al mio pene ed inizia ad infilarcela
dentro.
Entra una decina ci centimetri, fino che non arriva al suo fine corsa con
una specie di anello… Poi inizia a muoverlo entrando e uscendo, mentre inizia a
bruciarmi tutto. Il mio pene comincia a gonfiarsi e sale l’eccitazione, sempre
di più, lei continua incessantemente, più veloce, sempre di più fino a che non
eiaculo una seconda volta sulla sua mano.
Lei continua mentre le mie gambe
cedono e tutto il peso del mio corpo viene sostenuto dalla mia testa, poi mi appoggia la mano sul viso e sento lo sperma che mi cola dagli
occhi alle guance e sulle labbra.
Poi si allontana, spegne la luce
ed esce. Io riesco a riprendere un poco le forze e rimettermi in piedi, dopo
qualche secondo l’asta che è inserita nel mio pene si sfila e cade facendo un
rumore metallico.
Rimango in quello stato di dormiveglia tutta la notte, con i
tendini delle gambe in fiamme per lo sforzo, poi inizia ad albeggiare, si fa
sempre più chiaro fino a che le luci esterne all’ufficio si accendono.
Poi si apre la porta, entra lei
seguita da tutti i miei colleghi di lavoro che si mettono in cerchio intorno a
me. “Date a turno una frustata su quel pisellino che ormai a Sara non serve più,
uno per ogni centinaia di euro che ci ha fatto perdere… ah ecco… 3700€…”
Storie di femminilizzazione forzata, by Vale84cd - mar 2020
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