FEMINIZED STORIE vol.2

FEMINIZED STORIES vol.2

Ed eccolo qui! Il nuovo libro della Vale. - (clicca sulla scritta sopra per leggere l'articolo) - Ancora una raccolta di racconti sulla ...

domenica 15 marzo 2020

SECRETARY - First Part

Femminilizzazione forzata intro: capita a tutti di fare degli errori, ma quando non ne fai mai, il primo potrebbe essere l'ultimo...

CAPITOLO I

“Eppure ero sicuro di aver fatto tutto giusto”, mormoro tra me e me: riguardo le carte, un’altra volta, come è potuto succedere, è una cosa che ho fatto mille e mille volte, ecco qui, ho sbagliato la percentuale, un ricarico troppo alto, spero che le scuse basteranno, ora correggo e poi invio la mail, speriamo che nessuno se ne acc…”

“MARCO!!!!”

Mi si è gelato il sangue, quella voce l’ho già sentita e ho già visto a cosa porta… per un attimo mi è sembrato di essere uno spettatore e di vedere la vittima che si alzava e con lo sguardo per terra, ciondolando, si avvicinava al suo ufficio.

Mi sono ridestato solo quando ho visto la mia mano afferrare la maniglia della porta del suo ufficio: un rapido sguardo all’indietro a cercare sostegno da parte dei miei colleghi, occhi che si sono incrociati per un decimo di secondo, per poi abbassarsi nuovamente.

“E’ permesso?”

Nessuna risposta, non è il suo stile, entro, chiudo la porta, copro la visuale oscurando le veneziane, due giri di chiave che prendo tra le mani, mi avvicino e glie le porgo.

Non le prende, mi squadra, mi fa un cenno e allora infilo l’anello sulla proboscide dell’elefantino di porcellana posto in mezzo alla scrivania.

Un sospiro, non un sospiro di qualunque, il ricordo assomiglia ad un sospiro di un drago che è pronto ad emettere il suo alito di fuoco e uno sguardo, uno sguardo che mi penetra dentro le viscere e mi fa tremare nuovamente.

Un rapido gesto e mi prende per la cravatta: con forza me la tira fino a che cado di petto sul piano della scrivania, con il mio viso che arriva ad un palmo dal suo seno. Tira ancora mentre la annoda al manico del cassetto davanti a se, impedendomi si alzarmi anche di un solo centimetro. 


“Cosa devo farti per farti capire le cose?”

Il tono di voce, stanco, di una donna che sembra stanca di ripetere sempre le stesse cose, ma in fin dei conti è la prima volta che mi trovo in questa situazione, la prima volta diamine, in più di cinque anni, che commetto un errore, e per lo più rimediabile.

Mi prende il polso sinistro e sento un clic, poi lo avvicina a quello destro e un altro clic: una coppia di manette, credo, che mi blocca e mi blocca sempre di più i movimenti.

Si alza, aggira il tavolo e si posiziona dietro di me: mi appoggia prima le mani sui fianchi, che poi si spostano sul davanti fino ad incontrare la cintura; rapidi gesti e viene allentata, aperta, poi la zip e il bottone dei pantaloni. Me li fa scorrere giù fino alle caviglie, poi mi toglie scarpe, calze e infine sfila via i pantaloni.

Altro clic sulla caviglia destra, che mi viene spostata di un metro sulla destra, altro clic sulla sinistra, che mi viene spostata dall’altra parte; faccio per muoverle ma sono fissate con qualcosa alla scrivania: una mano gelida si posa sul mio sedere, lo accarezza e poi si toglie.

So già cosa sta per accadere, chiudo gli occhi, stringo i denti e aspetto, un minuto, dieci secondi, non saprei, pare un’eternità.

“Eppure sono stata sempre buona con te”

SCIAFF, un colpo secco, un bruciore alle due natiche che mi fa emettere un grido di sofferenza.

“Pensavo di essere stata chiara”

SCIAFF, una seconda sculacciata, ancora più forte, che mi fa scendere una lacrima oltre che un urlo.

“Un minimo di attenzione”

SCIAFF, una terza, non so se più forte o meno, urlo ancora di dolore e inizio a singhiozzare.

“Mi hai deluso caro”

SCIAFF, il bruciore mi pervade e non riesco a controllare l’urlo di dolore

“Profondamente deluso”

SCIAFF, la sculacciata arriva più in basso, altezza cosce, più dolorosa delle altre, che mi fa cedere le ginocchia.

“Non starai mica singhiozzando vero?” mentre aggira nuovamente la scrivania e si inginocchia davanti a me.

“Sono lacrimucce queste?” posandomi il suo dito indice vicino allo zigomo e asciugandomi l’occhio destro.

“Sei proprio una femminuccia mia cara” dicendolo mentre con pollice e indice sulle mie guance, premeva facendomi stringere le labbra. Le lascia, ritorna dietro, non so cosa le frulla per la testa. Solitamente agli altri non più di cinque minuti, forse ha finito anche con me, forse per questa volta è tutto risolto, dai speriamo. Sento ancora la sua mano accarezzarmi i glutei, poi passare le dita nella fessura, sento un fremito di piacere, si insinua fino a toccarmelo, lo accarezza e lui inizia a diventare duro, lo avvolge con la sua mano e lo stringe quel poco che permette di farlo gonfiare ancora di più.

Poi di colpo una stretta forte, lancio un urlo e lei con tutta calma mi sussurra:”ma se sei una femminuccia non ti può far male questo”, stringe ancora più forte, mi aumenta il battito del cuore e comincio a respirare affannosamente per poi tossire. Stringe ancora di più quando inizia a sgonfiarsi, lo tira, lo avvolge con quattro giri di corda, nodo e poi la corda restante la fa passare in mezzo ai glutei, la annoda alle manette per poi fissarla ad un collare nero borchiato che mi fissa a mo di cintura intorno al collo.

Mi libera le manette dalle caviglie, mi snoda la cravatta dal manico del cassetto e mi fa rialzare: tira ancora la corda, piegando il mio pene all’indietro, facendolo entrare quasi nelle natiche e fissa la corda alle manette, che si trovano, piegate all’indietro, all’altezza delle scapole.

“Torna al tuo posto, non ti voglio più vedere per oggi”: e aprendo con la chiave la porta, mi fa uscire fuori dal suo ufficio, lasciandomi alla pubblica umiliazione.

Con passi brevi mi dirigo verso la mia scrivania, sposto la sedia con il piede e mi siedo sopra di essa, sento il mio pene schiacciarsi sotto il mio peso e rimango li seduto, non sapendo cosa fare, non sapendo se chiedere aiuto ai miei colleghi, che non mi degnano di uno sguardo.

Non so quanto rimango li, imbambolato, con lo sguardo fisso nel vuoto, senza sapere cosa fare, con la paura di chiedere aiuto, sta di fatto che a poco a poco i miei colleghi se ne vanno, senza rivolgermi il minimo cenno. Poi la porta dell’ufficio si apre, lei esce, si avvicina a me, il ticchettio dei suoi tacchi mi fa sussultare, le sue gambe velate di collant nero mi sfiorano il braccio destro, passa dietro di me, sento che fa passare una corda nell’anello posto sul collare, vicino alla nuca, prende i due capi, me li mostra, li inserisce in un moschettone che aggancia ad un altro moschettone che sgancia dal muro alla mia destra. Poi inizia a girare la manovella: la corda inizia a tendersi, costringendomi ad alzarmi e a spostarmi sotto di essa. La tira ancora, ormai sono in piedi, ancora qualche centimetro,e devo mettermi sulle punte dei piedi per evitare che mi stringa la cintura sul collo.

Ci scambiamo uno sguardo, io terrorizzato, lei divertito, per qualche decina si secondi e poi, come se nulla fosse, si gira andando verso la porta di uscita, spegne la luce e chiude la porta dietro di se…
--->  TO BE CONTINUED
Storie di femminilizzazione forzata, by Vale84cd -  mar 2020

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