Come ogni sera, mi toccano le pulizie a tre ditte
nella zona di Varsei, tutte nella zona industriale. Inizialmente non ci andavo
da solo, ma poi, visto l’aumentare del lavoro e qualche problema con il
reperire il personale, il capo ci ha diviso in tre squadre e, a rotazione, per
questi clienti, dove la pulizia riguarda solo i bagni e gli uffici, è
sufficiente la presenza di un solo operaio. Quindi dalle 19 alle 21, riesco
bene o male a finire tutte e tre le ditte, mezz’ora a testa più il tempo per lo
spostamento.
Siamo già a venerdì sera ed è l’ultimo giorno
della settimana: normalmente si lavora anche il sabato pomeriggio, ma qui gli
uffici restano chiusi domani e quindi la pulizia riprende lunedì sera, sono già
all’ultimo cliente, e come al solito sono già in ritardo: ore 20,40 e mi
accingo ad entrare nel locale e spegnere l’allarme.
Giro la chiave, apro la porta e faccio per
avvicinarmi alla tastiera, ma non sento nessun “bip”… attimi di panico, apro lo
sportellino e guardo bene il display.. compare solo la data… Quindi l’impianto
è spento! Non mi era mai capitato di trovare l’impianto spento, però quando
finisco lo devo accendere sicuramente. Mentre mi dirigo verso lo sgabuzzino che
contiene il carrellino col sacco, scopa, paletta e mocio, inizio a farmi tutte
le storie mentali se avvisare qualcuno, “il mio capo?”, meglio di no, “la
vigilanza?”, ma tanto dovrebbe già vedere lo stato dell’impianto, “E se c’è
dentro qualcuno e lo inserisco?”, ma chi vuoi che ci sia dentro a quest’ora.
Apro il rubinetto e riempio d’acqua il secchio, un po’ di alcool e mi dirigo
fino al centro della stanza ed inizio a svuotare tutti i cestini posti sotto le
scrivanie.
Infine mi dirigo dentro l’ufficio della presidenza,
la sedia è stranamente girata verso il muro, mi abbasso e prendo il cestino, lo
porto fuori e lo svuoto, poi rientro con in mano scopa e paletta ed inizio a
dare una pulizia veloce; mi avvicino alla sedia e le do un colpo per rimetterla
sotto la scrivania, quando mi accorgo che è pesante e girandola un pelo, per
poco non mi viene un colpo.
“Ahhh…. Mi scusi, non volevo”.
C’era un signore, con in mano un tablet e le
cuffie nelle orecchie che stava leggendo una relazione, un libro o non so cosa.
Alla mia vista anche lui ha fatto un balzo, ma poi guardandomi è scoppiato in
una sonora risata.
“No, scusi lei, mi sono attardato nella lettura
di una relazione e non credevo di aver fatto così tardi, che ore sono? Uh, già
le 21.45! Tolgo subito il disturbo” e si avvicina alla porta, ma invece di
aprirla, la chiude con due giri di chiave e inizia a fissarmi.
Io lo guardo con una faccia stupita, chiedendomi
tra me e me “ma questo cosa vuole fare?”.
E continuo a pensare mentre lui si avvicina rapidamente, mi mette una mano sul sedere, una sulla nuca e mi avvicina a sè dandomi un bacio, o almeno tentando vista la mia bocca chiusa; passa qualche secondo prima che mi riesca a rendere conto di quanto sta accadendo: lascio cadere la paletta che ho nella mano sinistra e la scopa che ho nella destra e con le due mani spingo sui suoi reni per allontanarlo.
E continuo a pensare mentre lui si avvicina rapidamente, mi mette una mano sul sedere, una sulla nuca e mi avvicina a sè dandomi un bacio, o almeno tentando vista la mia bocca chiusa; passa qualche secondo prima che mi riesca a rendere conto di quanto sta accadendo: lascio cadere la paletta che ho nella mano sinistra e la scopa che ho nella destra e con le due mani spingo sui suoi reni per allontanarlo.
“Ah, opponi resistenza?” e con una rapida mossa,
mi gira e la mia schiena viene a contatto col suo petto: con una mano mi stringe
forte i testicoli, mentre con l’altro braccio, mi serra il collo quasi per
soffocarmi.
“Ti calmo o devo continuare fino a strozzarti?”
Ero già a corto di fiato e rosso in viso per il dolore che mi stava provocando
che risposi subito “SI!!!" e lasciai le mani che stavano tentando di liberarsi
dalla morsa al collo.
Lui lascia la presa, mi prende per il collo della
camicia e avvicinandomi la faccia ad un centimetro dalla sua mi ordina “togliti
tutti i vestiti e mettiti quelli che sono sul tavolo”.
Senza fiatare o dire qualcosa, mi svesto
completamente e mi avvicino al tavolo: c’è un completino da cameriera, molto
stringato, mutandine nere con il contorno di pizzo bianco, un reggiseno nero
con lo stesso motivo, un paio di polsini ed un cerchietto con una volta di
pizzo bianca.
Indosso tutto, ma ci metto qualche minuto; per i polsini nessun problema, sono elastici, un po' più difficile il reggiseno, riesco ad allacciarlo sul retro dopo tre tentativi andati a vuoto, mentre una volta che metto le mutandine e le alzo, il mio pene comincia a diventare duro e quasi esce, mentre lo slip dietro mi entra nella fessura del mio fondoschiena. So
esattamente cosa sto facendo ma non capisco il perché non riesco a reagire, ma la sua voce, che
ora mi dice “inginocchiati!” è più forte della mia resistenza e non riesco a
non obbedire ai suoi comandi.
Lui è seduto sulla sedia, in mutande e camicia,
non mi sono neppure accorto quando se li è tolti i calzoni. “Toglimi le calze!” Ancora con quel tono severo a cui non riesco a resistere; slaccio le stringe,
dolcemente tolgo la prima calza, esito, “anche l'altra” eseguo
e poi lo guardo, con le sue gambe accavallate e il suo piede destro che è a
dieci centimetri dalla mia bocca.
Uno sguardo, non deve dire nulla, inizio a
leccare le dita dei piedi, e poi inizio con il pollice, lo metto tutto in
bocca, lui lo muove forse per il solletichìo che sta provando, ed io con le due
mani me lo spingo dentro in gola, facendo partecipi anche le altre dita del
piede stesso.
Sto continuando a leccare quando mettendomi l’altro
piede sulla fronte, mi invita a guardarlo negli occhi, i suoi occhi di un verde
profondo che mi invitano a salire più in alto, al piano superiore.
Con le due mani gli sfilo le mutande e mi
avvicino al suo membro, lo accarezzo con la sinistra, mentre la destra gli
solletico i testicoli, un piccolo bacio, un altro, e poi tutto in bocca, inizio
a fare andare la lingua a sinistra e destra, su e giù e poi stringendolo col le
labbra vado avanti e indietro aumentando sempre il ritmo.
Sento un suo gemito di piacere, le sue mani si
posano sulla mia testa e mi spingono verso si se, con il suo membro in tiro che mi
arriva quasi fino in gola: mi manca il respiro, mi sento quasi per soffocare
quando mi allontana, mi costringe a guardarlo nuovamente e con una voce calma e tranquilla mi sussurra “Lelly,
siediti sopra di me”.
Rimango con la bocca aperta, "mi ha chiamato
veramente con un nome da donna?" Sto pensando all’imbarazzo che sto provando ed
alla situazione che sto vivendo ora quando sento qualcosa che si fa largo nel
mio fondoschiena.
Senza accorgermene ero già seduto sopra di lui, mi stava penetrando, a
fatica, mi stava sverginando da dietro, “lasciati andare Lelly”, ancora quella
voce dura ma celestiale, e le mie gambe si fanno leggere e quel dolore lancinante si tramuta in un lieve gemito di piacere.
Le sue mani mi cingono i fianchi e mi spingono
verso di se, una fitta, un grido di dolore e sento il suo scroto che si
appoggia sul mio fondo schiena, respiro affannosamente, mentre lui si alza dalla
poltrona, si gira verso la scrivania e appoggia il mio petto sopra il piano
della stessa, prendendomi le braccia e serrando i polsi nelle sue mani.
Inizia a muoversi, a spingere con ferocia le mie
gambe contro il bordo della scrivania. Il mio membro, eretto, è proprio sul
bordo, che guarda verso il basso e ad ogni colpo inferto, va a sbattere sul
duro legno provocandomi molto dolore.
Ma lui non si ferma, anzi continua, aumenta il
ritmo, esce quasi totalmente e rientra con rapidità, per più di cinque minuti,
finché non mi spinge con forza sulla scrivania lanciando un urlo: sento il suo
membro pulsare dentro di me, sento una sostanza calda che mi inonda tutto, il
suo petto sudato si posa sulla mia schiena, e la sua voce mi sussurra “brava
Lelly, la tua fighetta era tanto stretta, ma poi si allargherà”.
Inizia a baciarmi l’orecchio e a mordicchiarmi il
lobo, mentre le sue mani vanno a cercare i capezzoli dentro al reggiseno che si
è spostato verso il basso: li pizzica, emetto un grido di dolore, ma poi lascio
fare, lascio fare quando sfila dolcemente il suo membro dal mio fondoschiena e
facendomi mettere in ginocchio, mi invita a leccarlo e a ripulirlo.
Rimango li in ginocchio a fissarlo, anche quando
si alza e si dirige verso l’armadio, quando prende un piccolo sacchetto dorato
e me lo porge con un sorriso malizioso.
“Questo è un mio regalo per te”.
Imbambolato, lo guardo e poi guardando il
sacchetto lo apro: all’interno uno specchietto rotondo di cinque centimetri di
diametro ed un rossetto rosso”.
“Ti piace? Te lo metteresti per me?”
“Si grazie” e un po’ goffamente, tolgo il
coperchio, estraggo il rossetto rosso carminio facendo ruotare la base e con lo
specchio, mi guardo ed inizio a ripassare le labbra.
“Stai benissimo amore”
Io lo guardo, abbozzo un timido sorriso e divento
ancora una volta rosso in viso, rimango a guardarlo mentre si riveste, mutande,
calze, pantaloni e scarpe, rimango a guardarlo mentre si alza e si dirige verso
la porta di uscita dell’ufficio, rimango a guardarlo mentre apre con la chiave
la porta ed esce dalla stanza, rimango a guardarlo quando si affaccia e mi
dice, strizzando l’occhio sinistro: “metti su l’antifurto quando hai finito di
pulire”.
Storie di femminilizzazione forzata, by Vale84cd - 30 marzo 2020
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