Femminilizzazione forzata intro: Una lunga attesa e finalmente arriva... Ma sarà solo l'inizio di altre lunghe attese...
"Oh, ma quanti followers stiamo prendendo su Instagram?”
“Quasi cinquecento in una sola settimana!
“Oh, ma siamo così gnocche che possiamo farci pure un
calendario”
“Si, però lo facciamo assieme, così dividiamo, ok?”
“Lol”
Lo
scorso mese io e Valentina eravamo eccitatissime per via del “successo” delle
nostre foto da Trav pubblicate su Instagram… in pochi giorni avevamo
polverizzato il nostro account maschile e andavamo, come aveva detto la Vale,
“verso l’infinito e oltre”…
Non
so se ci siamo fatte prendere un po’ troppo la mano, però, a distanza di un
mese e con i followers che superano le due migliaia, la scelta di fare un
calendario cominciava ad essere redditizia.
Certo,
la paura di essere scoperti e che qualcuno potesse svelare la nostra “doppia
vita” c’era, ma il rischio più grande era quello di non rischiare nulla, e quindi
in meno di quindici giorni il calendario era pubblicato e cominciavano ad
entrare i primi soldini: non erano un granché, ma almeno ci potevamo permettere
qualche piccolo sfizio per Donna e per Vale.
…un mese dopo
Finalmente
non sto più nella pelle, sono passati mesi, per l’esattezza cinque da quando
non vedo la mia ragazza: io mi sono trasferita (si, lo so… è che da un po’
penso sempre al femminile) da circa un anno vivo e lavoro a Cardiff, nel Galles
e con questa storia del coronavirus, non sono potuta scendere a Milano dalla
mia ragazza, ne lei è potuta venire qui da me.
Finalmente
esce dall’aeroporto, trascina il trolley azzurro con nonchalance, completo
azzurro con giacchetta e gonna che fa intravedere le ginocchia, calze velate,
tacco dodici, unghie rosse, capelli mossi fino alle spalle, rossetto ciliegia,
ombretto azzurro, la guardo e quasi mi scende una lacrima: sono un misto di
gioia immensa nel rivederla e di immaginarmi io con quei vestiti, quei capelli
e quel trucco.
Mi vede, aumenta il passo e le corro incontro, un abbraccio, un
bacio che sembra infinito e poi in macchina, a casa, il pranzo e poi sul divano
a parlare, mentre ci teniamo per le mani: si fermerà qui da me quattro giorni,
poi tra un mese, in agosto, scenderò io da lei per due settimane.
“Vado un attimo in bagno, mi puoi tirare tutto fuori dal trolley e
metterlo nell’armadio”
“OK, amore”
Apro
la cerniera centrale e comincio a tirare fuori i vestiti: magliette, gonne,
pantaloni, intimo, reggiseni, calze di nylon, le passo per le mani e sento
quella splendida sensazione di liscio: avrei voluto indossarle in quel preciso
istante se solo non ci fosse o fosse impegnata per una mezz’ora; un paio di
scarpe (strano solo uno) e un paio di ciabattine per la notte. Apro la cassettiera che
avevo svuotato la sera prima per lei e ripongo in varie pigne per far
stare tutto comodo, le scarpe in fondo al letto e poi ritorno verso il trolley
e apro la cerniera davanti, quella con il vano più piccolo.
Tiro
fuori un cartoncino in formato A4 piegato su se stesso con all’interno
qualcosa, nello spostarlo, il suo contenuto scivola e cade per terra: mi chino
per raccoglierlo, lo giro e rimango di sasso.
Rimango
due minuti con in mano quell’oggetto, impietrita, incapace mi qualsiasi
movimento, fino a quando alzo lo sguardo e vedo Simona che è li che mi guarda,
non so da quando, ma mi sa da abbastanza tempo.
“Allora hai qualcosa da dire per giustificarti?”
“Ecco, io, ehm…”
balbetto come una scema, anzi come una stupida, non riesco a pensare a niente,
avrei dovuto dirglielo con calma in questi quattro giorni di me, di Donna e del calendario,
sempre se ne avrei avuto il coraggio.
“Ah, balbetti pure? Dai, racconta da quanto tempo va avanti sta
storia?”
“Scusa, te l’avrei raccontato in questi giorni”
“Se, come no! Vediamo un po’, ah ecco qui, no, non ci posso credere…
hai più scarpe di me!”
Ha
aperto il mio mobile, ed ha spostato il pannello dietro le camicie che avevo
messo di taglio… Pensavo che non fosse così tanto sveglia, però era è li che
sta guardando le mie scarpe, una decina di paia e due paia di stivali che
arrivano fino al ginocchio.
“E quindi in quest’altro… guarda questo! Ma non ti vergogni?”
E
con un’occhiataccia che mi lancia voltandosi di scatto, quasi sprofondo stando
in piedi, quando la sua mano scivola tra le decine di abitini appesi, per lo
più stringati, che quando li indosso, mi arrivano solitamente a nascondere
parzialmente le natiche.
Se
mi avessero messo a fianco di un peperone rosso, ecco, sarebbe stato più
pallido lui.
“Guarda guarda, va che roba che c’è qui! E tu vorresti farmi credere
che indossi questa roba?”
“Eh, a volte...”
“Spogliati e indossa questo!”
Il
suo tono di voce è cambiato e per un attimo mi ha fatto letteralmente gelare il
sangue, dall’isterico andante ora sembrava proprio autoritario e senza
proferire parola, ero li davanti a lei che mi stavo spogliando, li davanti a
lei che prendevo il completino rosso metallizzato e ci stavo entrando dentro.
“Ma come ti vesti? Mettiti questi!”
Ancora
con tono autoritario, mi porge un reggiseno e delle mutandine rosa confetto (le
mie preferite tra l’altro), le tengo in mano pensando a come fa a conoscere
così bene anche il mio lato femminile che perentoria mi dice
“Su, fai veloce”
Mi
scuote, mi scuote dentro, la guardo con un misto di paura e di ammirazione ed
inizio ad infilarmi le mutandine e poi il reggiseno. La guardo distrattamente
mentre mi osserva vestirmi con grazia e con rapidità nell’allacciarmi la clip
del reggiseno.
“Ed ora il vestito su”
La
sua voce è autoritaria, ma più dolce ora, quasi compassionevole ed ammirata
allo stesso tempo, con passi lenti mi infilo l’abito e tiro su la zip
contorcendomi con le braccia: rimane stupida dalla mia leggiadria; ora sono
davanti a lei e il mio sguardo è un po’ di sfida come se stessi per dirgli
“visto che gnocca che hai qui davanti?”.
Lei
mi riguarda, poi abbassa lo sguardo e prende la borsetta che ha lasciato sul
letto.
“Sai, mi è sempre piaciuto trascorrere una mini vacanza con un’altra
ragazza” mentre il rossetto mi disegnava il
contorno delle labbra, “stare tutto il giorno sdraiate
a parlare e a parlare di cose da ragazze” col pennellino che mi passava
dolcemente sulla palpabre, “è una cosa bella, niente
sesso, niente baci, non trovi” fissandomi negli occhi mentre mi passava
il mascara.
“Tu non trovi?”
“ma certo cara”
“Guarda, per una attimo pensavo che mi avessi detto che desideravi
fare l’amore con me per tutto il tempo che stavo qui”
Gelo,
spiazzata, ha tessuto la tela del ragno ed io ci sono finita dentro come una farfallina
spensierata ed ingenua.
“Non era quello che intend…”
“Shhhhhhh”, mi
fa mettendomi un dito sulle mie labbra ed avvicinando le sue quasi per baciarle,
poi toglie il dito, io chiudo gli occhi aspettando il sapore della sua saliva,
aspettando il suo alito che però tarda ad arrivare.
Le sue mani mi cingono, mi accarezzano i seni e poi scivolano verso la mia schiena, aprendo la cerniera e facendo scivolare il vestito appena messo, le sue mani sinuose dai fianchi si spostano verso il mio membro eretto che cerca di uscire dalle mutandine e cominciano ad accarezzarlo.
Mi lascio andare ad un mugolio di piacere, quando lei si allontana: apro
gli occhi proprio mentre mi avvolge qualcosa intorno al collo e me lo chiude con un
clic.
Dapprima non capisco cosa a fatto, poi vedo nella sua mano destra una
catena a maglie grosse e sulla sinistra un lucchetto.
Tira
la catena che è attaccata al mio collo e mi trascina, accompagna davanti
all’anta del mobile che fa da specchio: mi guardo subito il viso, trucco
leggero, ben fatto, rossetto color ciliegia, e più in giù un collare con un
pendaglio a forma di triangolo con su scritto “donna”.
“Ti piace” mi chiede facendolo tintinnare con l’indice sinistro.
“Si, molto carino”
“Ecco, le cose vanno così” e
tirando la catena verso il basso mi costringe prima a curvarmi e poi ad
inginocchiarmi “per questi tre giorni sarai la mia
cagnetta” e facendo passare la catena tra le due doghe del letto “e dormirai e mangerai qui per terra se non farai la brava,
intesi?” e con un clic serra il lucchetto lasciandomi sono dieci
centimetri di gioco della catena, obbligandomi a rimanere accucciata per terra.
“Ci vediamo dopo, vado a farmi un giro, fai la brava”
Esce,
spegne la luce e chiude la porta. Sento il rumore dei tacchi che lentamente si
assottiglia, giù per le scale, fino a svanire. Mi accuccio a terra, chiudo gli
occhi e aspetto con trepidazione il ritorno della mia padrona.
Storie di femminilizzazione forzata, by Vale84cd - 18 aprile 2020
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