FEMINIZED STORIE vol.2

FEMINIZED STORIES vol.2

Ed eccolo qui! Il nuovo libro della Vale. - (clicca sulla scritta sopra per leggere l'articolo) - Ancora una raccolta di racconti sulla ...

mercoledì 29 aprile 2020

Fisio terapia

Femminilizzazione forzata intro: Un piccolo dolorino, e la sua cura...

Questo pomeriggio ho preso appuntamento con un posturologo: settimana scorsa la fisioterapista, dopo un trattamento di sei sedute con la tecar, mi ha consigliato di recarmi da uno specialista, perché il problema che ho al tendine del piede sinistro è dovuto ad un’impostazione sbagliata della camminata. 

Con le sedute della tecar si riduce l’infiammazione, ma con l’andare del tempo, se non si migliora la camminata, l’infiammazione si ripresenta nuovamente; quindi gentilmente mi ha dato il numero di una sua amica che conosce dai tempi delle superiori e della quale si fida.

Ascensore al quinto piano, entro e la segretaria, dopo avermi chiesto il cognome, mi fa attendere in sala d’aspetto: passati cinque minuti mi chiama, compilo e firmo il solito foglio per la privacy e mi informa che la dottoressa mi attende nella saletta n°6.

Entro, mi presento e le spiego il problema: lei dopo avere esaminato i fogli della sua collega, mi fa togliere scarpe e calze e mi dice di fare una camminata avanti e indietro; dopo qualche avanti e indietro mi chiede gentilmente se posso togliere i pantaloni per verificare la camminata, così riesce a guardare anche le ginocchia.

Mi tolgo i pantaloni e rimango in mutande, un po’ imbarazzato e con il viso che tende al rosso, continuo a camminare avanti e indietro; poi mi fa sedere su una sedia, con i piedi sul pavimento ed analizza l’appoggio: sentenzia “tu hai un problema di appoggio del tallone, questo ti porta ad una rotazione del piede anomala, con conseguenza che sovraccarichi il tendine d’achille, è per questo che si infiamma”.

Dopo qualche altra spiegazione, e capendo che oltre al tendine, il tallone mi fa ogni tanto male, mi invita a fare una camminata, come prima, ma in punta di piedi; dopo qualche volta avanti e indietro, mi dice di camminare normalmente: “Vedi, con questo esercizio la camminata è già migliorata un po’! Dovresti camminare un po’ più spesso sulle punte dei piedi”.
Si, va be, ma come faccio con il lavoro?”
“Ma basta la sera quando sei a casa. Mi sta venendo una idea, che ti sembrerà un po’ strana: che numero di scarpe porti?"
“Il 42"
 “Vediamo, queste sono il 41, saranno un po’ strette ma è solo per fare una prova”

Si toglie le sue scarpe, tacco 12 e me le porge: “su, non fare il timido, provale!”

Dapprima divento rosso come un peperone, per l’imbarazzo, poi prendo la scarpa destra e tento di indossarla, ma i piedi sono un po’ sudati e non riesco a calzarla correttamente, anzi non riesco ad infilarla proprio.
Lei mi guarda e dice: “aspetta un attimo” e si toglie il camice, rimanendo in reggiseno di pizzo nero, mutandine e , reggicalze e calze velate nere… Slaccia un reggicalze e con grazia toglie la calza e me la infila sul piede destro, poi prende la scarpa e me la infila sul piede: “ecco vedi, ora la scarpa è entrata…”.

Soddisfatta, si sfila l’altra calza e me la infila sul piede sinistro, così come la scarpa, poi mi fa alzare e le calze mi cadono fino alle caviglie: “nessun problema, ecco qui” e si toglie il reggicalze e me lo allaccia alla vita, fissando le calze alzandole con delicatezza.

“Su, cammina un po’ avanti e indietro”

Io con imbarazzo e un po’ impacciato cammino, ma mi sembra di essere su dei trampoli e quando mi giro per tornare indietro, per poco non cado e mi devo aggrappare ad una libreria;  lei mi dice “va che non devi appoggiare il piede sui talloni, devi camminare in punta dei piedi come se non avessi i tacchi: i tacco vero e proprio lo devi appoggiare solo per breve tempo, per trovare la stabilità”.

Dopo questi consigli, un’altra camminata e la prova migliora leggermente; la dottoressa mi dice: “ora per la postura, prova a camminare tenendo in equilibrio questi"; e mi porge due libri da mettere in testa. Pochi passi e i libri cadono: mi abbasso per riprenderli e sento la dottoressa che chiama la segretaria dicendole qualcosa sottovoce.

La segretaria entra con una busta di plastica con dentro due pacchetti: li posa sul tavolo e ne estrae uno, poi guardandomi mi dice “togliti la maglietta e la canotta”.

Io obbedisco senza fiatare e sto per togliermi la canottiera sfilandola dalla testa quando mi sento avvolgere da una struttura rigida e fredda: tolta la canotta vedo che la segretaria mi sta fissando al petto un bustino, anch’esso nero di pizzo; comincia a stringere e la dottoressa mi dice “butta fuori aria”; io lo faccio e la segretaria da una stretta al bustino; comincio a fare fatica a respirare e la dottoressa mi dice “fuori aria dai polmoni e fai piccoli respiri con la pancia” acconsento e dopo cinque e sei respiri, seguiti da altrettanti strette, mi sento fasciato e quasi impossibilitato a muovere la schiena.

“Ora riprova” e dandomi i libri, mi fa camminare avanti e indietro; adesso così ingessato riesco a stare in equilibrio con la testa e a non far cadere i libri: le due si guardano soddisfatte e mi dicono “brava”
Io arrossisco per quell’espressione al femminile e la segretaria apre il secondo pacchetto che contiene uno strano oggetto, quasi come un paio di mutande i pelle; mi sfilano le mie mutande e mi infilano queste ed arrivate all’altezza del pube, mi infilano una protuberanza interna della mutande nell’ano e poi stringono la cintura, quasi impedendomi di respirare.

A questo punto anche la segretaria si spoglia: vestita con un completino rosso, reggiseno, gonnellina e calze a rete, su tacco 12. Mi guarda e ride, dicendomi “ciao puttanella”, mentre con un rossetto mi disegna il contorno labbra, poi è la volta di ombretto e mascara, con una parrucca bionda per completare l’opera.

Io sono ancora frastornato da quando mi hanno fatto indossare le scarpe e dopo il corsetto ha sentito una sensazione di impotenza; la segretaria mi mette un collare borchiato al collo e togliendosi il reggiseno, mi prende le mani e comincia a farmi massaggiare il suo seno.

Intanto la dottoressa mi divarica le gambe, fissandomi delle cavigliere unite da un’asta di metallo lunga un metro e mezzo, tanto che faccio fatica a mantenere l’equilibrio; poi è la volta di due polsiere di pelle e staccate le mani dal seno, mi uniscono le due polsiere dietro la schiena e le agganciano ad una catena posta in alto.
La alzano fino che le mie braccia sono in trazione e poi la abbassano spostandola in avanti, facendo si che tutto il peso del mio corpo ricada sulla braccia; il dolore è quasi insopportabile e imploro pietà, quando la segretaria mi si pone davanti e si toglie la gonnellina. Arriva davanti a me, e tirandomi i capelli mi fa guardare il suo regalino: la segretaria è un uomo, con un grosso cazzo per giunta; me lo infila in bocca e prendendomi i polsi comincia a spostarli verso di lei ed allontanarmi.

Io ce l’ho tutto in bocca e faccio quasi fatica a respirare, ma lei continua, su e giù, sempre più veloce, mentre sento che da dietro qualcuno mi sta slacciando le mutande di pelle e mi sfila il dildo che era infilato su per l’ano. Guardo lo specchio davanti a me e vedo la dottoressa con uno strap-on fucsia, non lo vedo più ma lo sento entrare lentamente, dentro e fuori, sempre più veloce e sempre più forte.

Ormai il ritmo è quasi insostenibile, mi stanno scopando dalla bocca e dal culo, sempre più veloce ed ormai non sento quasi neanche più i dolori alle braccia ed alle gambe; dopo circa 10 minuti, il ritmo davanti si fa più violento e la segretaria emette dei gemiti e sento un liquido caldo che scende giù per la gola.

Si fermano e la segretaria mi dice:”pulisci bene tutto”. Io obbedisco e faccio il lavoro, mentre mi tolgono i ganci di cavigliere e polsiere e mi stendono sul lettino pancia in su.

“guarda, sei venuto col cazzo moscio” ed indicandomi il mio pene, vedo effettivamente che esce del liquido bianco, ma lui è li ammosciato.

“hai iniziato a godere come una donna, sei proprio una cagna!” ed indicando la mia immagine allo specchio ,mi dice “sei la nostra cagnolina rivestiti e torna qui domani”. Io mi tolgo calze, reggicalze e scarpe, ma il corsetto non so proprio come fare.
“mi date una mano con questo?” “no, quello è un regalino da tenere fino a domani, per farti capire che sei nostra schiava”. Un po’ sconcertato mi rivesto e le faccio per salutare. Loro si girano e mi dicono “sei ancora qui?”.

Esco dall’edificio e vado verso la macchina. Torno a casa e vado subito in bagno: mi guardo allo specchio e vedo che il corsetto è fissato con due lucchetti. Mi rimetto la maglietta e mentre sto per uscire dal bagno entra la mia ragazza vestita solo con una maglietta e mi dice: “facciamo la doccia assieme”, spingendomi all’interno della stessa.


Io sto per dire qualcosa quando lei esclama “e cos’è questo?” togliendomi la maglietta; “ecco, io”… ahahah, esplode in una grande risata “lo sapevo che eri una femminuccia” e tirandomi fuori da una doccia, apre lo sportello del bagno e tira fuori un rossetto rosso, e lo mette in modo abbondante, tanto da farmi sembrare una sgualdrina… Poi mi mette un dito sulle labbra e mi dice “shhhh… prometti di fare la brava?” Io annuisco e lei, strizzando un occhio, mi trascina fuori dal bagno, lasciandomi nudo in mezzo alla stanza, vestito solo col corsetto.

“Divertitevi”, e prendendo il mano il cellulare inizia a riprendermi: dapprima non capisco, poi voltando lo sguardo vedo la dottoressa e la segretaria che compaiono dalla porta della cucina: io rimango li impietrito, mentre, facendomi inginocchiare, la prima mi penetra da dietro e la seconda me lo infila nuovamente in bocca. 

Storie di femminilizzazione forzata, by Vale84cd -  2 maggio 2017

domenica 19 aprile 2020

CALENDAR

Femminilizzazione forzata intro: Una lunga attesa e finalmente arriva... Ma sarà solo l'inizio di altre lunghe attese...

"Oh, ma quanti followers stiamo prendendo su Instagram?”

“Quasi cinquecento in una sola settimana!

“Oh, ma siamo così gnocche che possiamo farci pure un calendario”

“Si, però lo facciamo assieme, così dividiamo, ok?”

“Lol”

Lo scorso mese io e Valentina eravamo eccitatissime per via del “successo” delle nostre foto da Trav pubblicate su Instagram… in pochi giorni avevamo polverizzato il nostro account maschile e andavamo, come aveva detto la Vale, “verso l’infinito e oltre”… 

Non so se ci siamo fatte prendere un po’ troppo la mano, però, a distanza di un mese e con i followers che superano le due migliaia, la scelta di fare un calendario cominciava ad essere redditizia.

Certo, la paura di essere scoperti e che qualcuno potesse svelare la nostra “doppia vita” c’era, ma il rischio più grande era quello di non rischiare nulla, e quindi in meno di quindici giorni il calendario era pubblicato e cominciavano ad entrare i primi soldini: non erano un granché, ma almeno ci potevamo permettere qualche piccolo sfizio per Donna e per Vale.

…un mese dopo

Finalmente non sto più nella pelle, sono passati mesi, per l’esattezza cinque da quando non vedo la mia ragazza: io mi sono trasferita (si, lo so… è che da un po’ penso sempre al femminile) da circa un anno vivo e lavoro a Cardiff, nel Galles e con questa storia del coronavirus, non sono potuta scendere a Milano dalla mia ragazza, ne lei è potuta venire qui da me.

Finalmente esce dall’aeroporto, trascina il trolley azzurro con nonchalance, completo azzurro con giacchetta e gonna che fa intravedere le ginocchia, calze velate, tacco dodici, unghie rosse, capelli mossi fino alle spalle, rossetto ciliegia, ombretto azzurro, la guardo e quasi mi scende una lacrima: sono un misto di gioia immensa nel rivederla e di immaginarmi io con quei vestiti, quei capelli e quel trucco.

Mi vede, aumenta il passo e le corro incontro, un abbraccio, un bacio che sembra infinito e poi in macchina, a casa, il pranzo e poi sul divano a parlare, mentre ci teniamo per le mani: si fermerà qui da me quattro giorni, poi tra un mese, in agosto, scenderò io da lei per due settimane.

“Vado un attimo in bagno, mi puoi tirare tutto fuori dal trolley e metterlo nell’armadio”

“OK, amore”

Apro la cerniera centrale e comincio a tirare fuori i vestiti: magliette, gonne, pantaloni, intimo, reggiseni, calze di nylon, le passo per le mani e sento quella splendida sensazione di liscio: avrei voluto indossarle in quel preciso istante se solo non ci fosse o fosse impegnata per una mezz’ora; un paio di scarpe (strano solo uno) e un paio di ciabattine per la notte. Apro la cassettiera che avevo svuotato la sera prima per lei e ripongo in varie pigne per far stare tutto comodo, le scarpe in fondo al letto e poi ritorno verso il trolley e apro la cerniera davanti, quella con il vano più piccolo.

Tiro fuori un cartoncino in formato A4 piegato su se stesso con all’interno qualcosa, nello spostarlo, il suo contenuto scivola e cade per terra: mi chino per raccoglierlo, lo giro e rimango di sasso.

Rimango due minuti con in mano quell’oggetto, impietrita, incapace mi qualsiasi movimento, fino a quando alzo lo sguardo e vedo Simona che è li che mi guarda, non so da quando, ma mi sa da abbastanza tempo.

“Allora hai qualcosa da dire per giustificarti?”

“Ecco, io, ehm…” balbetto come una scema, anzi come una stupida, non riesco a pensare a niente, avrei dovuto dirglielo con calma in questi quattro giorni di me, di Donna e del calendario, sempre se ne avrei avuto il coraggio.

“Ah, balbetti pure? Dai, racconta da quanto tempo va avanti sta storia?”

Scusa, te l’avrei raccontato in questi giorni”

“Se, come no! Vediamo un po’, ah ecco qui, no, non ci posso credere… hai più scarpe di me!”



Ha aperto il mio mobile, ed ha spostato il pannello dietro le camicie che avevo messo di taglio… Pensavo che non fosse così tanto sveglia, però era è li che sta guardando le mie scarpe, una decina di paia e due paia di stivali che arrivano fino al ginocchio.

“E quindi in quest’altro… guarda questo! Ma non ti vergogni?”

E con un’occhiataccia che mi lancia voltandosi di scatto, quasi sprofondo stando in piedi, quando la sua mano scivola tra le decine di abitini appesi, per lo più stringati, che quando li indosso, mi arrivano solitamente a nascondere parzialmente le natiche.

Se mi avessero messo a fianco di un peperone rosso, ecco, sarebbe stato più pallido lui.

“Guarda guarda, va che roba che c’è qui! E tu vorresti farmi credere che indossi questa roba?”

“Eh, a volte...”

“Spogliati e indossa questo!”

Il suo tono di voce è cambiato e per un attimo mi ha fatto letteralmente gelare il sangue, dall’isterico andante ora sembrava proprio autoritario e senza proferire parola, ero li davanti a lei che mi stavo spogliando, li davanti a lei che prendevo il completino rosso metallizzato e ci stavo entrando dentro.

“Ma come ti vesti? Mettiti questi!”

Ancora con tono autoritario, mi porge un reggiseno e delle mutandine rosa confetto (le mie preferite tra l’altro), le tengo in mano pensando a come fa a conoscere così bene anche il mio lato femminile che perentoria mi dice

“Su, fai veloce”

Mi scuote, mi scuote dentro, la guardo con un misto di paura e di ammirazione ed inizio ad infilarmi le mutandine e poi il reggiseno. La guardo distrattamente mentre mi osserva vestirmi con grazia e con rapidità nell’allacciarmi la clip del reggiseno.

“Ed ora il vestito su”

La sua voce è autoritaria, ma più dolce ora, quasi compassionevole ed ammirata allo stesso tempo, con passi lenti mi infilo l’abito e tiro su la zip contorcendomi con le braccia: rimane stupida dalla mia leggiadria; ora sono davanti a lei e il mio sguardo è un po’ di sfida come se stessi per dirgli “visto che gnocca che hai qui davanti?”.

Lei mi riguarda, poi abbassa lo sguardo e prende la borsetta che ha lasciato sul letto.

“Sai, mi è sempre piaciuto trascorrere una mini vacanza con un’altra ragazza” mentre il rossetto mi disegnava il contorno delle labbra, “stare tutto il giorno sdraiate a parlare e a parlare di cose da ragazze” col pennellino che mi passava dolcemente sulla palpabre, “è una cosa bella, niente sesso, niente baci, non trovi” fissandomi negli occhi mentre mi passava il mascara.

“Tu non trovi?”

“ma certo cara”

“Guarda, per una attimo pensavo che mi avessi detto che desideravi fare l’amore con me per tutto il tempo che stavo qui”

Gelo, spiazzata, ha tessuto la tela del ragno ed io ci sono finita dentro come una farfallina spensierata ed ingenua.

“Non era quello che intend…”

“Shhhhhhh”, mi fa mettendomi un dito sulle mie labbra ed avvicinando le sue quasi per baciarle, poi toglie il dito, io chiudo gli occhi aspettando il sapore della sua saliva, aspettando il suo alito che però tarda ad arrivare.

Le sue mani mi cingono, mi accarezzano i seni e poi scivolano verso la mia schiena, aprendo la cerniera e facendo scivolare il vestito appena messo, le sue mani sinuose dai fianchi si spostano verso il mio membro eretto che cerca di uscire dalle mutandine e cominciano ad accarezzarlo.

Mi lascio andare ad un mugolio di piacere, quando lei si allontana: apro gli occhi proprio mentre mi avvolge qualcosa intorno al collo e me lo chiude con un clic.

Dapprima non capisco cosa a fatto, poi vedo nella sua mano destra una catena a maglie grosse e sulla sinistra un lucchetto.

Tira la catena che è attaccata al mio collo e mi trascina, accompagna davanti all’anta del mobile che fa da specchio: mi guardo subito il viso, trucco leggero, ben fatto, rossetto color ciliegia, e più in giù un collare con un pendaglio a forma di triangolo con su scritto “donna”.

“Ti piace” mi chiede facendolo tintinnare con l’indice sinistro.

“Si, molto carino”

“Ecco, le cose vanno così” e tirando la catena verso il basso mi costringe prima a curvarmi e poi ad inginocchiarmi “per questi tre giorni sarai la mia cagnetta” e facendo passare la catena tra le due doghe del letto “e dormirai e mangerai qui per terra se non farai la brava, intesi?” e con un clic serra il lucchetto lasciandomi sono dieci centimetri di gioco della catena, obbligandomi a rimanere accucciata per terra. 


“Ci vediamo dopo, vado a farmi un giro, fai la brava”

Esce, spegne la luce e chiude la porta. Sento il rumore dei tacchi che lentamente si assottiglia, giù per le scale, fino a svanire. Mi accuccio a terra, chiudo gli occhi e aspetto con trepidazione il ritorno della mia padrona.

Storie di femminilizzazione forzata, by Vale84cd -  18 aprile 2020   

lunedì 13 aprile 2020

Dressing Service

Femminilizzazione forzata intro: La prima volta non si scorda mai... finalmente nasce Valentina: ma alla fine sarà contenta? 

Arrivo verso le 10 del mattino, parcheggio e mi dirigo verso la scaletta sul retro: una decina di gradini e poi la porta con un piccolo campanello sulla destra. Suono due volte, la serratura emette un clic e con una leggera pressione apro la porta e la richiudo dietro di me.
Una piccola sala d’aspetto, con un divanetto rosso sul lato destro e una scrivania con sedia ergonomica sulla sinistra: una voce mi dice “arrivo subito”.
Entra una signora sulla cinquantina, si chiama Susanna (ci siamo sentiti per mail), si avvicina e mi dice “tu devi essere…” , il cuore comincia a battermi forte e con un filo di voce, la voce più femminile che riesco ad emettere, pronuncio “Va… Valentina”.
“Tranquilla, rilassati. Ecco vieni subito di qua nel salottino che ci mettiamo a nostro agio”.
Entro e mi siedo sul divano, lei si siede di fianco a me, mi accarezza la guancia e poi la sua mano scivola giù verso il mio pene. Non è in erezione, l’ho sfiancato prima di partire e nei bagni dell’autogrill (mi sa che riposerà per un bel po’), lei mi guarda, accenna un sorriso e mi dice “bel maschietto, sei pronto a diventare veramente Valentina?”
Non mi aspettavo questa domanda, arrossisco vistosamente e il cuore comincia a battere più veloce; “quando avremo finito col trucco, potrai arrossire tutte le volte che vuoi che non si noterà niente”. Mi prende le mani e mi invita ad alzarmi: rimango in piedi mentre lei mi invita a seguirla, non riesco quasi a muovermi tra un misto di imbarazzo e di eccitazione che non so spiegare.
“Se rimani ferma li impalata allora ci cambiamo subito d’abito” e avvicinandosi a me, mi slaccia la cintura e con un rapido gesto mi abbassa pantaloni e mutande e senza che io riesca a reagire, mi toglie camicia e maglietta alzandomeli sopra la testa.
“Su Vale, datti una mossa e mettiti su questa roba se no perdiamo troppo tempo”. Mi pone un accappatoio di raso o seta rosa, non so, e delle ciabattine coordinate; mi tolgo allora le scarpe, le calze e i pantaloni e mi infilo ciabatte e accappatoio, chiudendolo con il laccetto.
“Di qua, vieni!” Entro nella stanza che è un piccolo bagno “Su, siediti qua che inizia la trasformazione”.

Lo specchio è coperto da un telo, Susanna inizia col pulirmi per bene il viso: prima il fondo tinta, così il rossore dell’imbarazzo verrà coperto, poi chiudo gli occhi e mi lascio andare, come in un sogno… sento il pennellino che accarezza dolcemente le palpebre, la vertice dell’eyeliner che si secca sopra le ciglia, il pettinino del mascara che mi apre gli occhi. Non so quanto tempo passa, una mezz’ora o forse di più…
Ogni tanto mi guarda compiaciuta, io arrossisco e sento che il caldo viene fermato dal fondotinta, facendomi quasi ribollire dentro. Poi conclude il lavoro con una parrucca bionda con i capelli che mi cadono dolcemente sulle spalle: “Voilà, sei pronta?” e toglie il telo dallo specchio svelandomi il lavoro svolto.
Mi guardo incredulo allo specchio: gli occhi, i lineamenti del viso, tutto tranne che il solito io, anzi sono proprio Valentina in tutto il suo splendore. “Allora che ne pensi? Su di qualcosa”.
“Sono stupenda! Veramente Susanna, non riesco a trovare le parole”.
“Alzati e vieni qui da me, e togliti l’accappatoio”. Mi alzo, mi slaccio la cintura e me lo tolgo facendolo cadere sulle caviglie, mentre lei mi posiziona un reggiseno con seno finto e poi lo ricopre con un maglioncino leggero nero a maniche lunghe.

 “Alza un piede e poi l’altro”: eseguo e mi infila un paio di calze a rete nere a maglie finissime che lega con dei laccetti ad un reggicalze nero; un paio di mutandine e una minigonna bianca che fa intravedere il bordo delle calze. Infine un paio di scarpe, sempre nere, con tacco 12.
 “Ora cammina un po’ avanti e indietro per abituarti”.
Incerto nei primi passi, quasi rischio di cadere. “Il trucco è nell’appoggiare prima il tacco, ma il peso lo devi mettere di punta. Ecco cosi, brava, vedi che non sei più incerta? Muovi anche il fondoschiena mentre cammini, ecco brava. Sembra che cammini sui tacchi da una vita!”.
Infatti sembra vero, più cammino e più mi sembra naturale: poi il fatto di non avere il pene eretto, mi fa dimenticare di essere un uomo travestito da donna. “Allora Valentina, come ti senti? Sei una vera donna?”.
“Si Susanna, mi sento proprio una donna, come se lo fossi da una vita”. 

Anche la mia voce sembra più femminile che quasi non la riconosco, sono un po’ frastornata: fino ad ora mi ero travestito a casa, da solo, e il camminare in una stanza con qualcuno che mi guarda e che mi parla come se fossi una donna, mi sembra strano e al tempo stesso eccitante.
“Ora ti lascio una decina di minuti da sola, poi torno e facciamo qualcosa di eccitante!” Chiude la porta e mi lascia sola nella stanza: vicino allo specchio noto un foglietto che recita così: “nell’armadietto di destra, ci sono gli smalti: sceglie il colore che vuoi e mettitelo, non è difficile Valentina”.
Apro l’armadietto e guardo una decina di boccette di vari colori: a colpo sicuro vado su quello rosso fiammante e piano piano mi dipingo tutte le unghie e infine con le dita allargate, soffio per farle asciugare.
Altri dieci minuti ed ecco che Susanna torna con un’altra ragazza: “Sei pronta? Uhu, rosse… Non avevo dubbi! Eccoti una borsetta con un po’ di cose, ah, mettiti su pure una di quelle due parure e usciamo”.
Guardo sulla sinistra e scelgo due orecchini a clip a goccia, collana leggera e braccialetto in tinta, prendo la borsetta e la apro: dentro vari trucchi, salviettine e assorbenti. La richiudo e rimango nuovamente bloccata mentre mi risuona nella mente la parola “usciamo”.
“Dai su, non fare la timida, io sono Gloria, dai andiamo”.
Due baci sulla guancia, la sua mano che si posa sul mio sedere stringendolo e poi va a incrociare la mia mano sinistra: anche lei è un ragazzo, scendiamo le scale ed entriamo in un SUV, alla guida c’è Susanna: si parte.
“Dove siamo dirette?”

Faccio per dire altro, ma Gloria mi mette il suo indice sulle mie labbra e mormora “Shhh”. Sto zitta, dieci minuti e ci fermiamo al parcheggio di un ristorante.

Entriamo dal retro e ci fermiamo in cucina: ci accoglie l’aiuto cuoco che ci dice:”ragazze, mettetevi queste e pronte a servire”.
Mi tolgo maglioncino e gonna, ed indosso un piccolo grembiule con lacci che copre solo il davanti, lasciando le natiche al vento e un corpetto che nasconde solo i seni lasciando libera la pancia, che Gloria mi stringe sul retro con dei lacci finissimi: il completino, nero con i bordi di pizzo bianchi è completato da due polsini ed una fascetta per capelli.
“Tu Valentina ti occupi dei tavoli 1,2 e 3, Gloria 4,5,6: state qui al banco e portate le pietanze che preparo: e mi raccomando, sculettate più che potete!”.
Per fortuna il trucco nasconde il mio viso che sta diventando bordeau, non faccio tempo a pensarci che “Vale, tavolo due” mi riporta subito alla realtà. Sono due primi, due piatti di lasagne: mi dirigo verso il centro della sala, scorgo il segnaposto numero due, servo i piatti, sorrido e me ne vado via sculettando.
Poi gli altri tavoli, primo, secondo e caffè; ogni volta che prendo i piatti e li porto verso i tavoli, noto l'espressione dei commensali che mi divorano con gli occhi, ammiccano e vorrebbero forse mettermi una mano sul sedere ogni qual volta mi giro per ritornare in cucina.

Abbiamo finito, il dolce dicono che è una sorpresa. Sto scambiando quattro chiacchiere con Gloria, quando un signore in sala chiama a gran voce “Valentina, Valentina qui subito, presto!”
Mi dirigo verso la sala: noto che i tavoli sono stati spostati e al centro c’è una specie di cavallo, come quello delle gare di ginnastica artistica, ma più basso e senza maniglie. Mi avvicino e il signore che mi ha chiamato mi tende la mano come per baciarla, ma una volta vicino, mi afferra il sedere e con l’altra mano il mento.
Faccio per liberarmi, ma lui con una voce tranquilla mi dice “non ti faccio male, Vale, stai al gioco e non ti farai del male”. Allento la presa che avevo su di lui e mentre lui inizia a parlare “Signori e signori ecco l’evento clou della settimana…” 

Altri due ragazzi arrivano e mi fanno sdraiare con la pancia sul cavallo di legno, legandomi con dei lacci polsi e caviglie alle quattro gambe dello stesso; “Questa è Valentina, la vostra cameriera di stasera”,mentre con una mano mi solleva la testa dal mento, “avrete notato che è una splendida ragazza, non trovate?” Si levano dal tavolo grida di approvazione e applausi “Valentina, dimmelo tu chi sei!”.
“Sono una ragazza spendida” e ripetendo quello che mi sussurra all’orecchio, parola per parola “e sono contenta di essere qui con vuoi stasera per passare una stupenda serata”.

“Ecco, vedete, Valentina è un ragazzo, che fino a qualche ora fa non sapeva di essere in fin dei conti una donna”

E sempre sotto suggerimento, vergognandomi di quello che sono costretta a dire, continuo: "Sono Valentina, non sono un ragazzo, sono una donna, una splendida donna”.

“E per essere donna, lo sapete qual è il passo da percorrere…”

“Voglio essere una donna, aiutatemi ad essere una donna”.
La coppia del tavolo due si alza, si tolgono pantaloni e gonna, mutandine e mostrano fieri i loro membri eretti: il maschio un pene molto grosso, circa 5 cm di diametro, la femmina un po’ più piccolo, circa 3,5 cm. Si avvicinano ed io dico “Sono ancora vergine"

"Prometto che non ti farò troppo male"

E la coppia inizia a penetrarmi: lei infilandomi il membro nell’ano e il marito spingendomi il suo fino alla gola. Il pubblico inizia a dettare il ritmo, ad applaudire e a pronunciare frasi volgari.

Una decina di minuti dopo, arriva un’ondata calda invade l’interno del retto, e poco dopo un’ondata ancora più abbondante mi riempie la bocca; mi viene impedito di deglutire, mi aprono la bocca e mi prelevano un po’ di sperma che c’è sulla lingua e mi riempiono la faccia.
“Ora manda giù, com’è? Buono?”.

Faccio fatica a mandare giù, il ragazzo mi prende le guance con la mano, me le stringe e guardandomi negli occhi e mi dice di ripetere, parola per parola.


“E’ buonissimo, sono Valentina, ora sono una donna e voglio i vostri cazzi per rendervi felici”.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei. Le dodici persone presenti in sala sono state soddisfatte. Mi slegano e mi rimettono in piedi, sto per cadere quando in due mi tengono in piedi per le braccia mentre un terzo mi toglie il grembiule e mi abbassano le mutande: “vedete, è venuta con il cazzo ammosciato, è venuta come una donna, ha avuto il suo primo orgasmo e l’è piaciuto.”
“Si, ho goduto come una donna e mi è piaciuto”, ormai sfinita, ripeto quello che mi viene detto di dire, mentre mi fissano delle polsiere alle mani e me li agganciano a delle corde che pendono dal soffitto: le tirano su e tutto il peso del mio corpo è sostenuto dalle braccia, e dalla punta dei piedi che a malapena sfiora il pavimento.

"aiuto, aiuto, ahia" inizio a frignare come una ragazzina spaventata, mentre sento una voce in lontananza che mi dice "aiutatela con questo!"

Sento che qualcosa di grosso si fa largo nel mio di dietro, ed entra sempre più a fondo, sostenendo di fatto tutto il mio peso, lancio un urlo di dolore che si affievolisce quando il vibratore si azione a ritmo alternato, facendomi gemere, facendomi urlare tra un misto di dolore e godimento, che si accentua quando mi avvicinano un vibratore sotto al mio scroto.


Del liquido mi cola dal pube, il mio membro non è eretto ma sono venuto, ho goduto, ho avuto un orgasmo, sto avendo un orgasmo che sembra non finire mai, intenso e crescente, altro liquido che cola dal pube, ormai sono cinque minuti che sono all’apice del piacere e sembra che può andare avanti all’infinito.
Poi di colpo si ferma il vibratore, mi viene tolto, vengo calata e appoggiata sul freddo pavimento: sono sfinita con tutti i muscoli indolenziti, la mio membro e il mio culo in fiamme; tutti si avvicinano, mi accerchiano e mi dicono “Brava, hai avuto il tuo primo orgasmo, come una donna”, un’ondata di urina mi bagna la faccia, mi entra in bocca e nel naso; non riesco a reagire, sfinita, qualcuno mi trascina per i piedi fuori dal locale, c’è una decina di sacchi dell’immondizia a fianco del cassonetto, mi ci buttano sopra e sprofondo per metà. Con le gambe in alto.
Altri cinque minuti e arrivano due uomini in divisa: “Eccolo qua, ma senti come puzza!” “Buttalo nel bagagliaio sennò mi intasa tutta l’auto”. Manette ai polsi legate dietro le schiena e dentro il baule, viaggio, arrivo alla stazione della polizia. In piedi davanti all’ispettore, puzza di piscia, calze a rete rotte, scarpe tacco 12, corsetto parrucca e trucco.
“E qui davanti un’altra di quelle troiette impasticcate? Come ti chiami?” “Valentina”. Un pugno nello stomaco, che mi fa piegare e quasi cadere se i due poliziotti non mi tenessero per le braccia. “Bello, anche se ti piace essere una sgualdrina e succhiare cazzi, anche se ti piace truccarti e camminare con i tacchi a spillo, anche se godi a prenderlo in culo e a bere piscia, sei un uomo… a meno che…”
Una puntura, un senso di formicolio, pesantezza di testa e nebbia ovunque… ancora nebbia, profumo intenso di rose ed eccomi sveglia, sdraiata su un lettino d’ospedale.
“Ben svegliata Valentina” Davanti a me Susanna, con un sorriso radioso e amichevole, “ora si che sei Valentina” e con un rapido gesto mi toglie le lenzuola lasciando il mio corpo nudo. La guardo negli occhi, lei mi fissa e quasi si commuove, abbasso piano piano gli occhi: due seni di terza taglia mi oscurano la visuale, avvicino le mani, li sfioro dolcemente e sento indurirsi i capezzoli, sento anche un’altra strana sensazione, chiudo gli occhi, sospiro e spingo le mani sul pube: lo accarezzo, lo accarezzo, non trovo più niente.

Storie di femminilizzazione forzata, by Vale84cd -  24 agosto 2019